La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana
- Autore: Byung-Chul Han
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2024
Dopo aver scritto della situazione politica internazionale, che ormai è sotto il giogo del neoliberismo, con i cittadini che sono diventati consumatori, sempre più distanti dalla politica, dalle lotte di rivendicazione, come se fossero sotto una cappa di stanchezza che li rende simili a quello che vuole il neo capitalismo mondiale, nessuna critica al sistema costituito, Byung-Chul Han ha scritto La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana (Einaudi editore, 2024, traduzione di Armando Canzonieri).
Lo studioso coreano che ha studiato in Germania, parla dell’uso che si fa della parola narrazione o storytelling, mentre sotto c’è un vuoto narrativo pauroso. Conduciamo vite “disfunzionali”, tutte ridotte a un eterno presente.
Le narrazioni sono sostituibili, modificabili, perché si è perso il raccontare i nostri ricordi dando loro una profondità di vita e di emozioni. E lo storytelling diventa storyselling, vendere storie “ad hoc” attraverso tutto quello che scrivo e posto e i social accumulano dati giorno e notte.
Sembra che esistano solo i tempi del consumo, del tempo libero, della produzione e del lavoro. I giorni festivi che presuppongono dei ricordi condivisi e narrati e compresi si sono ridotti in un vuoto narrativo. Il Natale e altre importanti festività, sono diventate “merci”, contano gli eventi e gli spettacoli, ma lo stare in casa coi propri parenti, i nostri nonni è piuttosto un avvenimento noioso. Ognuno manda gli auguri coi propri cellulari, mentre nell’attesa della notifica si parla di informazioni riprese dai social.
E quindi si trovano degli escamotage, si parla di teorie del complotto mondiale e della sicurezza che dà l’estrema destra. Barattiamo la nostra identità con la sicurezza. Le feste sembrano dei giorni in cui si sta in un fortino, dove possono arrivare presenze straniere, parenti che parlano in un’altra lingua. Ma questa non è più una ricchezza, diventa la paura dell’altro che ormai non si capisce più. E si diventa paranoici, se non abbiamo caratterialmente il modo per uscire da una generica paura degli altri “che non sono me”.
Non ci sono ricordi da narrare, si fanno dei selfie che finiscono in un social, senza il bisogno di spiegare chi sono queste nuove persone. Lo zio, la zia venuti dal Canada cosa stanno tramando alle nostre spalle?
Ma “racconto” e “informazione” sono due parole ben distinte.
Sicuramente in questo nuovo millennio, le persone sono informate come mai prima. Dalla politica, alla cronaca, al meteo, consumiamo migliaia di informazioni ogni giorno, ma ci resta come un senso di vuoto, una mancanza di direzione. Le informazioni ci fanno vivere in un eterno presente, dove narrare per ricordare che gli avvenimenti possono essere legati da un filo indistruttibile va contro il nostro vissuto. A noi basta narrare una giornata su un social, adeguarsi ai commenti dei cosiddetti “leoni da tastiera”, quelli che sanno rispondere a tono, quelli che sanno offendere, ma dopo pochi giorni, le considerazioni di questi che sanno “influenzare” le informazioni e i dati ci danno noia e si segue un altro famoso influencer.
Ma in realtà nessuno si attarda più su un ricordo lontano, agli altri interessano quello che stai facendo ora o quello che farai più tardi. Nel frattempo i social smembrano le nostre opinioni, le nostre foto, i nostri like per capire che tipo di consumatori siamo. Ad esempio, si può scrivere sul social il titolo di un romanzo che vi è piaciuto. Siate pur certi che per settimane, sarete sommersi da pubblicità ad hoc per il lettore. Se l’utente ha parlato di un giallo, vedrà apparire sullo schermo del suo computer o cellulare notizie di gialli appena usciti. Alla fine, per sfinimento, un titolo che vi è passato davanti mille volte lo comprate. I riferimenti culturali sotto gli occhi di Byung-Chul Han sono di grande pregio e nemmeno così nuovi. Si va dallo studioso Walter Benjamin a Martin Heidegger, a Hannah Arendt.
Benjamin indugia sulla lontananza che deve esserci tra spiegazione e informazione. Ogni mattina veniamo bombardati da informazioni che dimentichiamo subito. Ci mancano storie singolari e significative che possiamo raccontare.
Lo studioso Byung-Chul Han scrive:
Lo tsunami dell’informazione frammenta l’attenzione. Impedisce l’indugiare contemplativo che è costitutivo tanto del raccontare che del restare all’ascolto.
Ma gli studiosi citati sono lontani nel tempo. Walter Benjamin si suicidò con una fiala di morfina nel 1940, quando capì che i nazisti sapevano del suo imminente viaggio negli Stati Uniti. In realtà la storia era più confusa.
Mentre ora lo studioso coreano arriva a dire che l’informazione associata al neoliberismo, ci porta in un regime dell’informazione, che non esercita in modo repressivo, ma seducente. Un processo controllato dagli algoritmi. Su cui noi non abbiamo nessun tipo di controllo. Dell’atrofia del tempo e l’indebolimento del tempo ne scrisse anche Proust, soprattutto nella parte finale de La Recherche, senza fare sconti, né seducendo il lettore. Mentre Heidegger scriveva che avere “un destino” significa proprio farsi carico del proprio Sé in modo autentico.
Poi, anche in questo punto del libro, l’autore ribadisce il suo odio profondo per i selfie che sono fotografie che durano un istante. Ma sono i social e una parte di Internet che il saggista detesta, mentre fa una vivisezione esemplare del celebre libro di Jean-Paul Sartre, La nausea.
In buona sostanza Byung-Chul Han ha nostalgia dei libri pubblicati quasi cento anni fa e questa di per sé è già una narrazione. Ma perché non scrivere di un saggio, di un pamphlet, di un romanzo attuali? Non è che poi l’uomo diventa narrazione con la nostalgia?
La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana
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