La donna in nero
- Autore: Brunella Schisa
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Casa editrice: Garzanti
“E’ un’emozione, cerco di fermare quello che ho provato più di quello che ho visto.”
Il romanzo, intenso e sensibile ritratto di una donna e della sua epoca, il primo di Brunella Schisa, è soprattutto la narrazione del legame che si stabilì tra Berthe Morisot (1841 – 1885) e Edouard Manet (1832 – 1893), considerato dai suoi contemporanei pazzo e visionario.
“... mi accusano di appartenere al mio tempo e di rappresentare ciò che vedo senza preoccuparmi delle mode. Ma è un vizio a cui non intendo rinunciare.”
Incontriamo Brunella Schisa (nella foto con dietro l’immagine del ritratto che Manet fece a Berthe Morisot nel 1872) all’inaugurazione della mostra Gemme dell’Impressionismo. Dipinti della National Gallery of Art di Washington. Da Monet a Renoir da Van Gogh a Bonnard.
Di fronte a Natura morta con ostriche (1862) dell’“artista più insultato di Parigi” l’autrice delinea il legame tra Edouard e Berthe:
“I due erano molto legati, anche se sulla pittura la pensavano in modo differente. L’unica volta che Manet posò il suo pennello su una tela di Berthe il risultato fu disastroso. Rileggendo i dodici ritratti si scopre che tra loro c’era un sentimento amoroso”.
Quando Berthe Morisot incontrò Manet nell’estate del 1868, il pittore aveva già dipinto Déjeuner sur l’herbe e l’Olympia, scandalizzando lo stesso Napoleone III e la buona società parigina.
“A 36 anni sono famoso ma non vendo un quadro. Le tele rimangono nel mio studio e ne escono soltanto per essere insultate ai Salon, quando non sono rifiutate.”
L’incontro era avvenuto al Louvre e precisamente alla Galleria dei Medici, dove Berthe e Edma Morisot “due signorine di 29 e 27 anni, carine e nubili” da oltre dieci anni copiavano le tele dei grandi maestri del passato, controllate a vista dalla madre Cornélie. Solo al Louvre era consentito alle donne animate dal sacro fuoco dell’arte di imparare “poiché l’Accademia delle Belle Arti era esclusivo appannaggio degli uomini”.
Ci confida Brunella Schisa:
“La storia di Berthe Morisot mi ha convinta a scrivere romanzi. Per molti anni mi sono occupata di arte per il mio giornale, il Venerdì, e Berthe Morisot al primo incontro mi è sembrata un corpo estraneo in quel gruppo di rivoltosi che volevano riscrivere le regole. Ho cercato di capire cosa avesse in comune quella donna borghese e riservata con gli Impressionisti e con Edouard Manet, il pittore che aveva scandalizzato l’intera città con i suoi orrendi nudi. Mi sono chiesta perché Berthe avesse posato per Manet undici volte. Undici ritratti. Vestita sempre in nero.”
La prestigiosa esposizione visitabile al Museo dell’Ara Pacis di Roma (23 ottobre 2013 - 23 febbraio 2014) presenta una parte dei capolavori della collezione impressionista e post impressionista della National Gallery of Art di Washington. Tra questi dipinti, la maggior parte provenienti dalla collezione Mellon, è presente anche un quadro di Berthe Morisot, “la Signora degli Impressionisti” come l’ha definita la stessa autrice. L’olio La Sorella dell’artista alla finestra (nella foto - 1869, olio su tela
Collezione Ailsa Mellon Bruce, 1970.17.47) ritrae Edma Morisot.
“Edma e Berthe erano legate a doppio filo: dal vincolo sororale e dalla passione per la pittura. Entrambe avevano cominciato a dipingere con il maestro Camille Corot, ma dopo dieci anni Edma aveva abbandonato i pennelli per fare la moglie e la madre. Per Berthe era stato un colpo terribile, si era sentita abbandonata. In realtà Edma, pur vivendo in Bretagna, è stata sempre molto presente nella vita della sorella e le ha fatto da confidente e da modella” spiega la scrittrice.
Mentre ammiriamo “le gemme” esposte, non possiamo non domandare all’autrice quanto influirono i pregiudizi dell’epoca nell’affermazione professionale della Morisot.
“Decidere di essere un’artista in un’epoca in cui l’Accademia delle Belle Arti era preclusa alle donne, è stata la sfida di Berthe ai pregiudizi. Le sale del Louvre erano piene di ragazze che imparavano copiando i grandi maestri, ma poche ce l’hanno fatta. In realtà soltanto Berthe Morisot, l’unica artista che partecipa alle mostre Impressioniste. La sola donna del gruppo. Mary Cassatt arriverà dopo.”
La vita delle Morisot, appartenenti a “una famiglia moderna” (le giovani erano state spronate dal padre, Consigliere capo dell’ufficio della Ragioneria centrale di Parigi, a seguire la comune passione artistica) finora era stata contrassegnata da tele, colori e pennelli sparsi per la casa situata a Passy davanti al Bois de Boulogne dal cui terrazzo si poteva ammirare tutta Parigi. La madre delle dilettanti da tempo domandava alle proprie figlie di abbandonare la pittura per concentrarsi “nella ricerca sistematica di un marito”.
“Il pittore della vita moderna” appartenente alla borghesia agiata, possedeva in rue Guyot nel quartiere di Batignolles uno studio sempre colpito dalla luce diretta a differenza degli altri atelier orientati a nord per proteggersi dal sole. Questo “tempio maschile” impregnato dall’odore di fumo, “caotico, polveroso, e con il parquet sconnesso” alle 5 della sera era invaso dagli amici di Manet: Alfred Stevens, Pierre Puvis, Claude Monet, August Renoir, Emile Zola. Durante gli incontri questi artisti “ossessionati dalla mutevolezza della luce”, studiata, analizzata nei suoi infiniti cambiamenti, ribadivano il principio che era alla base della loro nuova arte. Mai più idealizzare la realtà ma riprodurla come la vedevano i loro occhi “con scrupolo e fedeltà”, quindi “faccio ciò che vedo”. Non più seppellirsi negli atelier ma fuori all’aperto en plein air. Berthe e sua sorella non potevano partecipare a queste riunioni perché erano donne e per giunta non sposate.
“Di Berthe mi ha sempre affascinato la sua pervicacia nell’inseguire la modernità, il suo anticonformismo. A trent’anni non aveva ancora preso marito tanto era impegnata a dipingere. Non cercava un matrimonio borghese, ma un uomo da amare. E, purtroppo, era innamorata di un uomo sposato. Ha deciso di mettere su famiglia in un’età in cui, all’epoca, si sfioriva.”
Terminato il percorso museale, comprendiamo perfettamente il motivo per il quale Brunella Schisa ha posto come esergo del suo romanzo, perfetta sintesi di storia e narrazione, la frase di Edouard Manet:
“L’arte è la scrittura della vita”.
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