La filosofia di Tex e altri saggi. Dal fumetto alla scienza
- Autore: Giulio Giorello
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Per restare in casa Bonelli: se Dylan Dog è l’anti-eroe dai dubbi amletici, Tex Willer rappresenta la sua antitesi più decisa: difficile pensarlo preda di un dilemma. Tex sa sempre cosa fare, soprattutto sa bene da che parte stare e con chi. Malgrado l’agnosticismo che li accomuna, l’atteggiamento scettico di Dylan Dog è per contrappasso continuamente attentato dal pensiero magico (fantasmi, diavoli, revenant, e quant’altro), le poche volte che sulle piste arroventate del West succede che Tex debba misurarsi con il soprannaturale, il suo razionalismo invece non vacilla. Gli albi dal 501 al 504 (Mauro Boselli, 2002) prevedono, per esempio, la “resurrezione” di Mefisto - l’antagonista texiano per antonomasia - che viene apostrofato da Tex in questo modo:
“E così saresti risorto?... Non farmi ridere”.
Ne “La filosofia di Tex e altri saggi (uscito postumo per Mimesis nel luglio 2020), Giulio Giorello spende diverse pagine a riflettere sulla cifra razionale di Tex e con riferimento all’episodio summenzionato scrive, fra l’altro (pagina 28):
“Come più volte hanno mostrato le avventure di Tex in cui il nostro eroe e i suoi pards sono stati sfiorati dal cosiddetto sovrannaturale, qualunque ‘spettro’ che pretenda di agire nel nostro mondo deve ben guardarsi dal ‘commettere l’errore di capitare a tiro delle nostre colt: nessuna magia al mondo potrebbe impedirgli di trasformarsi in cibo per vermi’ cosi chiosa Tex a conclusione di questo ennesimo capitolo della saga di Mefisto, con in aggiunta una glossa di Carson: ‘per Giove ecco un pensiero consolante”.
Il ritratto complessivo di Tex Willer che affiora dagli interventi saggistici di Giulio Giorello è, per il resto, frastagliato ma non contraddittorio. Per metterla sul terreno dei connotati filosofici del ranger sakem dei Navajo, di certo affiora la stazza di cowboy positivista. Sicuramente anche l’aspetto di pistolero pragmatico dai modi spicci. E forse, di conseguenza, quello di “filosofo con la pistola”, portatore sano di capisaldi con riferimento a giustizia e libertà.
Ciò che potrebbe colpire di primo acchito delle disamine di Giorello (ma solo a chi ne ignora la trasversalità non snobistica degli interessi) è l’adesione filologica con cui sviluppa la sue tesi: si avverte cioè sin da subito che il filosofo della scienza maneggia bene la materia fumetto. In altre parole: Giulio Giorello ha letto e metabolizzato uno per uno gli albi di Tex e, quando e se lo elegge a paladino – mai manicheo - di giustizia e libertà, lo fa attraverso sentieri non scontati e cognizione di causa:
“Ci sono due belle parole che nella storia del nostro Paese sono state talora usate insieme, ‘giustizia’ e ‘libertà’. Tex ce lo fa capire anche per il futuro: giustizia senza libertà – pur con tutte le migliori intenzioni – vuol dire tramutare la società in un immenso carcere; libertà senza giustizia significa sopraffazione. Collegate insieme, giustizia e libertà vogliono dire responsabilità. In una bella storia in cui Tex finiva nella giungla panamense (Il solitario del West, 1981, albi 250-252), un ufficiale dei marine sentendolo parlare col figlio Kit commentava: ‘Però, non mi ero accorto di avere un filosofo a bordo’. Ma lo sceneggiatore (Guido Nolitta, ossia Sergio Bonelli) faceva dire al comandante della nave: ‘Sì, un filosofo, ma con la Colt”. (pag. 56)
Ne La filosofia di Tex e altri saggi si prova dunque come "Tex" sia in grado di avocare a sé potenziali valenze filosofiche. Significati ulteriori, se possibile, accresciutisi con gli anni e con l’avvicendarsi conseguente degli sceneggiatori bonelliani. A comprova di questa tesi, mi si passi una digressione:
A pagina 35 del loro Io sparo positivo. Istruzioni per l’uso di Tex Willer (Unicopli, 1997), Raffaele Mantegazza e Brunetto Salvarani scrivono che
“(…) nello schema narrativo creato da Giovanni Luigi Bonelli – complice l’incalzante ritmo delle strisce settimanali che pretendeva comunque un seppur parziale finale – i soggetti erano informati a una semplicità disarmante. Tex arriva in un luogo, spara (o gli sparano), poi chiede cosa succede e da par suo, Colt alla mano, risolve la questione. Oggi no, tutto è più articolato. Ma forse va bene così”.
Per quanto mi riguarda, certo che va bene così. Va bene e va senz’altro meglio così. Non ho avuto mai il coraggio di scriverlo forte, lo faccio ora: è più o meno dalla metà degli anni Settanta che l’epopea western di Tex Willer cresce esponenzialmente di spessore (maturando peraltro anche sotto l’aspetto grafico), connotandosi come espressione para-letteraria a tutti gli effetti, da albo di avventura spicciola che era. In altre parole: forse aldilà delle intenzioni dei suoi pur validi progenitori (Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galeppini), Tex sviluppa, col tempo, meta-significanze che lo (im)pongono come fumetto degno di analisi anche aldilà dei confini italiani, senza mai perdersi di vista, o peggio snaturare le impronte archetipiche che lo caratterizzano. Come tutti i prototipi, Tex Willer rimane portatore sano di un’assiologia decisa (giusto/ingiusto, bene/male, libertà/oppressione) ma il suo discorso diventa in progress più stratificato e sottile: anche se l’happy end è compreso nel prezzo (del fumetto), non è escluso che possa lasciare talvolta con l’amaro in bocca.
Muovendosi senza forzature tra Shakespeare, Poe (quando serve) e un buon numero di filosofi e teorie, questi saggi su Tex di Giulio Giorello, pur se parzialmente incompiuti, restituiscono spessori vecchi e nuovi di un eroe sempiterno, e lo fanno - questo è il bello – con poco aplomb, cioè con la perizia dell’accademico consumato e il coinvolgimento entusiasta del lettore più fedele. Come rimarca Roberto Festi in chiusura della sua articolata prefazione (Gli occhi freddi della paura, pag. 14):
“Grazie, Giulio Giorello, per averci fatto leggere “il Tex” in un modo diverso. Grazie per averci spiegato che Tex non è soltanto un personaggio, ma un’idea. L’idea che in questo universo dell’indifferenza possa sopravvivere una misteriosa anomalia: che si dia uno spazio per una giustizia (finalmente) giusta”.
Completano il volume tre saggi in cui Giorello si misura con i temi filosofici a lui congeniali (filosofia della scienza, liberalismo economico-politico) e un denso intervento conclusivo di Gianfranco Manfredi, che si sofferma a lungo, e forse non a caso, sulla fenomenologia di Dylan Dog da cui siamo partiti.
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