Il 17 febbraio ricorre la Giornata mondiale del Gatto, per l’occasione ricordiamo come i felini abbiano ispirato grandi opere letterarie. È il caso del romanzo breve La gatta di Colette, una singolare storia d’amore e gelosia pubblicata nel lontano maggio del 1933.
I gatti di Colette
Sidonie-Gabrielle Colette fu una grande amante dei felini: molte foto in bianco e nero la ritraggono abbracciata a gatti, oppure con un micio che le fa capolino da dietro la spalla o è appoggiato delicatamente alla sua mano mentre scrive.
Nelle fotografie d’epoca Colette e i gatti hanno lo stesso sguardo: i lunghi occhi dal taglio allungato all’egiziana, le pupille dilatate e attente, voraci, sensuali. Il suo micio preferito era Kiki-la-Doucette, una splendida bianca gatta d’Angora.
Alla morte dell’amata Kiki, l’amico Philippe Berthelot le regalò una gatta selvatica, di razza serval del Ciad, di nome Bâ-Tou, che lei in breve tempo trasformò in un docile felino domestico. A Bâ-Tou la scrittrice dedicò anche alcune pagine di La maison de Claudine.
Di lei dicevano che amava i gatti un po’ come un domatore amava le sue tigri, Colette in tutta risposta era solita dire:
A frequentare un gatto si rischia soltanto di arricchirsi. Sarà forse solo per calcolo che, da più di mezzo secolo, ricerco la sua compagnia?
Colette, del resto, era libera e indipendente come una gatta: sembrava vivere per sé stessa, non aveva bisogno degli altri. Questa qualità la rese uno dei personaggi più celebri e, al contempo, enigmatici del Novecento francese: era un’attrice di music-hall, una giornalista, oltre che una scrittrice prolifica. Divenne un mito nazionale, la prima donna di Francia a essere onorata con i funerali di stato nel 1954. In seguito la stessa Simone de Beauvoir l’avrebbe citata come “una grande scrittrice in Francia, una scrittrice davvero grande”. Anni dopo Philip Roth avrebbe ricordato il suo capolavoro Chéri, definendolo uno dei suoi romanzi del cuore.
Tra le opere di Colette viene spesso citato un romanzo breve, La gatta (1933), considerato una delle sue narrazioni più enigmatiche e complesse. L’amore della scrittrice per i felini in queste pagine si palesa in tutta la sua evidenza: Colette amava i gatti, li osservava, li teneva accanto a sé e sapeva quindi descriverli con una prosa efficace, brillante, nitida e precisa, così vitale da renderli veri. La gatta Saha, protagonista del romanzo, è uno dei personaggi felini meglio riusciti della letteratura.
La gatta (il cui titolo originale era La chatte, Ndr) fu pubblicato per la prima volta nel 1933 a puntate sulla rivista Marianne e successivamente come romanzo breve dalla casa editrice parigina Grasset. Nella copertina del libro appare una gatta grigia disegnata in acquarello con un grande fiocco rosa al collo circondata da una distesa di tulipani variopinti. Tuttora il romanzo è considerato uno dei capolavori della scrittrice francese, insieme a Chéri e La Fin de Chéri. Il critico francese Edmond Jaloux ne festeggiò l’uscita definendolo un “capolavoro di concisione, di arte e di intelligenza”.
Scopriamo la trama di questa storia singolare, firmata dall’impareggiabile penna di Colette.
La gatta di Colette: spiegazione e trama del romanzo
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La gatta (edito in Italia da Skira edizioni nel 2015, con la traduzione di Luca Lamberti) è una singolare storia d’amore e di gelosia che ha al suo centro proprio il personaggio di una micia: la certosina Saha dal “muso perfetto e gli occhi dorati”.
Saha è la gatta di Alain, un giovane ricco e viziato, alto biondo e bello, che ricorda molto il personaggio di Chéri. Il ragazzo adotta la gattina quando ha appena cinque mesi, acquistandola da una prestigiosa esposizione felina e, nel tempo, con lei sviluppa un rapporto quasi simbiotico. La gatta Saha ama Alain senza pretese, senza chiedergli nulla in cambio e lui la ama incondizionatamente di rimando. Le cose cambiano quando Alain, ormai adulto, è in procinto di sposarsi con la diciannovenne Camille. Per lui è giunto il momento di lasciare la grande casa di famiglia di Neuilly e di trasferirsi, dopo il matrimonio, nel moderno e luminoso appartamento di Parigi.
La brezza di maggio passava sopra di loro, piegando un arbusto di rose gialle che sapevano di ginestra in fiore. Fra la gatta, il rosaio, le cince a coppie e gli ultimi maggiolini, Alain assaporò quei momenti che sfuggono alla durata umana, l’angoscia e l’illusione di smarrirsi nella sua infanzia.
L’idea del matrimonio turba Alain che, nel cuore, è un eterno adolescente e non sembra pronto a compiere scelte che comportino grandi responsabilità. Camille inoltre è una ragazza moderna, indipendente, che guida l’automobile e ha, nei suoi confronti, delle pretese: vuole essere amata, corteggiata e portata in ristoranti di lusso.
Quando Alain se ne va dalla casa di Neuilly, la gatta Saha inizia a deperire in assenza del padrone. Provato dalla sua sofferenza il giovane decide quindi di portarla con sé nell’appartamento che divide con Camille. In breve tempo la presenza della gatta diventa il pomo della discordia. L’affetto che Alain nutre nei confronti di Saha avvelena il matrimonio, Camille ne è gelosa come di una rivale umana.
Carezzando l’amata certosina lui giungerà ad affermare:
Dopo di te apparterrò probabilmente a chi lo vorrà… A un’altra donna, a delle donne… Ma mai a un altro gatto.
La gatta Saha, enigmatica e manipolatrice, che mette lo zampino nelle dinamiche di coppia, in realtà non è altro che una rappresentazione metaforica dell’infanzia. Lei rappresenta l’amore innocente, incondizionato e puro che Alain si rifiuta di lasciar andare. Nella gatta il ragazzo trova la certezza di un amore indistruttibile, mentre tale non è quello di Camille: una donna che si aspetta delle cose da lui, che nota i suoi difetti, che ha dei desideri. Quello di Camille è l’amore maturo, l’amore che comporta il rischio della perdita; mentre l’amore di Saha è indistruttibile, eterno, un paradiso dorato come l’infanzia.
Camille, la moglie di Alain, diventa sempre più gelosa della gatta e arriva al punto di scaraventare Saha fuori dalla finestra dell’appartamento; ma la micia, incredibilmente, riesce a salvarsi. Colette riesce nel mirabile artificio di umanizzare la gatta e disumanizzare la “padrona”: chi è la vera bestia tra le due?
Infine Alain si trova costretto a scegliere: e tra la moglie e la gatta non ha dubbi, sceglie Saha.
Nella conclusione la gatta guarda Camille fisso negli occhi con uno sguardo cupo e accusatorio: uno sguardo felino che dice più di mille parole.
Colette descrive la gatta con un tocco mirabile, una scrittura così perfetta che ci sembra di toccare il morbido pelo dell’animale, di sentire il suo nasino umido mentre si avvicina al padrone per dargli un “bacio da gatta”.
Ma chi è veramente la gatta Saha? Sicuramente uno dei felini più intriganti e meravigliosamente descritti della storia della letteratura. A un certo punto Colette la definisce come “un demone color della perla”: affascinante, sensuale, misteriosa, imprendibile, la scrittrice sembra vedere nella certosina dal “muso piccolo e perfetto” il proprio riflesso.
Come a sottolineare questa identificazione felina Colette apparve in scena travestita da gatta in una pantomima al Bataclan intitolata appunto La Chatte amoureuse. La sua metamorfosi in gatta si era compiuta: la vera gatta Saha, dal nome esotico con l’h aspirata, era lei, la narratrice delle mille e una notte come Shehèrazade, Colette.
Fu proprio lei, del resto, a scrivere la celebre frase:
Quand je cesse-rai de chanter la Chatte-Dernière, c’est que je serai devenue muette sur toutes choses.
Quando cesserò di cantare l’“Ultima Gatta” sarà perché sarò diventata muta su tutte le cose.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La gatta” di Colette: una strana storia d’amore felino
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