La guerra di Corea
- Autore: Steven Hugh Lee
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2016
Senza vincitori nè vinti e con una “non guerra, non pace” che dura tuttora. Questo il risultato del conflitto in Corea, scatenato nel 1950 e divampato fino al 1953, con un lascito sulla storia mondiale che ancora esercita le sue conseguenze, visto l’atteggiamento dell’aggressivo Stato canaglia del Nord. Andiamo a riscoprire quelle pagine di storia, nel libro del prof. Steven Hugh Lee, riedito da il Mulino a dicembre 2016 in una collana tascabile: “La guerra di Corea” (pp. 210, euro 12,00).
Apparso in prima edizione italiana nel 2003, sempre per i tipi della casa editrice bolognese, il saggio del docente di storia dell’Università della Columbia britannica (Vancouver, Canada) sintetizza gli eventi secondo un punto di vista originale rispetto ad altri contributi. Nell’esaminare cause e dinamiche della guerra osserva con attenzione anche la storia sociale del conflitto, solitamente trascurata. Inoltre, va oltre l’armistizio del 1953, guarda anche alla Conferenza di Ginevra del 1954 ed ai successivi incontri sempre in Svizzera, in cui si cercò vanamente di stabilire una pace permanente nella penisola coreana.
Schiacciata tra l’immane secondo conflitto mondiale e la tragedia vietnamita tanto più seguita dai media, la guerra di Corea è stata pressoché rimossa, sebbene proponesse un ancora piì “caldo” braccio di ferro tra il mondo occidentale e il blocco comunista, con Cina e URSS militarmente schierate a sostegno della Corea del Nord. “Volontari” cinesi – in realtà reparti interi – e specialisti dell’Armata Rossa sovietica irrobustivano le divisioni, le postazioni e le offensive di Pyongyang.
Le ragioni della rimozione in Occidente derivano dagli scopi e dall’esito stesso della guerra. Le truppe delle Nazioni Unite agirono in Corea per contenere l’influenza sovietica nel mondo e per diffondere nell’opinione pubblica occidentale la consapevolezza dell’esigenza di un ampio incremento delle forze NATO.
Inoltre, il conflitto finì con un nulla di fatto, senza vittoria di una o l’altra delle fazioni e questo lo ha consegnato alla storia come un evento indefinito e comunque penoso da ricordare.
La battaglia anticomunista coreana è rimasta, quindi, sostanzialmente secondaria, ma quanti credevano strenuamente nella crociata contro il comunismo restarono insoddisfatti della fragile pace e tuttavia gli Stati Uniti erano impreparati a continuare lo scontro militare contro la Corea del Nord e la Cina Popolare. La voglia di dimenticare gli eccessi del maccartismo aveva messo i liberali americani in condizione di accogliere con favore una distensione internazionale che raffreddava la guerra fredda, a metà degli anni ’50.
Cancellata dalla memoria collettiva, la guerra di Corea è di fatto ricordata quasi esclusivamente per MASH, l’iconoclasta e spiritoso film di Robert Altman del 1970 e la serie televisiva che seguì alla fortunata pellicola, telefilm seguitissimi dovunque dal 1972 al 1983.
Per questo il prof. Steven Hugh Lee ha voluto soffermarsi non tanto sui combattimenti quanto sulle sofferenze delle popolazioni e sulle conseguenze della guerra, nel contesto più generale della storia del ’900. La guerra di Corea ha infatti segnato un punto di svolta nelle relazioni tra USA e URSS, inasprendo le divisioni della guerra fredda, cristallizzando le alleanze diplomatiche e militari della Cortina di ferro ma consentendo agli Stati Uniti di affermare la loro egemonia globale e di consolidare basi militari ed economiche in Giappone e Germania.
Un punto sull’andamento del conflitto è comunque necessario. Nel secondo dopoguerra, cacciate le armate giapponesi, una linea retta convenzionale, aveva diviso la Corea in due zone d’influenza lungo il 38° parallelo: quella comunista, sotto il tiranno Kim il Sung e quella filoccidentale del presidente ultra nazionalista Syngman Rhee.
Le tensioni tra i due Paesi degenerarono il 25 giugno 1950, quando l’esercito del Nord, organizzato dai sovietici, varcò il confine sbaragliando le deboli forze sud coreane. L’ultima sacca di resistenza, a difesa del porto di Pusan, venne rinforzata dall’ONU, su ricorso della Corea del Sud, con contingenti di una ventina di Stati, guidati dagli USA. Uno sbarco riuscito alle spalle, ad Inchön, favorì la controffensiva alleata e costrinse i nord coreani a ritirarsi.
Ma il comandante in capo, il generale MacArthur, fece l’errore di superare il 38° parallelo e invadere il Nord, seppure con l’assenso delle Nazioni Unite (decisione del 7 ottobre 1950), arrivando quasi al confine con la Cina. Questo spinse Mao a scatenare un’offensiva invernale di più di centomila uomini, ributtando le truppe ONU verso il Sud e lasciando immaginare un intervento ancora più massiccio. Si arrivò intanto a uno stallo militare a metà penisola e vennero avviati lenti negoziati, proseguiti per due anni, che condussero all’armistizio del 27 luglio 1953, con il confine ristabilito al 38° parallelo e il sollievo della popolazione civile stremata da perdite e distruzioni.
Dopo oltre sessantanni lo stallo continua. Come fa ben notare l’autore,
“il capitolo finale di questo libro non è stato ancora scritto. Coloro che parteciparono al conflitto coreano non hanno ancora siglato un trattato di pace e fino a quando questo non si verificherà, non ci potrà essere un’epoca di pace duratura né per le due Coree né per il mondo intero”.
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