Immagine di copertina Credits: Carlos Adampol Galindo from DF, México, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons
Addio a Maria Kodama, la moglie, l’assistente, la musa di Jorge Luis Borges.
La scrittrice e traduttrice argentina si è spenta oggi a Buenos Aires all’età di ottantasei anni. Tutti la ricordano come “gli occhi di Borges”, aveva aiutato il marito persino nella stesura di alcune opere quando i problemi alla vista impedivano al visionario scrittore sudamericano di mettere i propri pensieri su carta.
Dopo la morte di Borges, Kodama aveva continuato a rendere omaggio al marito fondando un’associazione a suo nome e portando i suoi libri in giro per il mondo. Avevano quasi quarant’anni di differenza, ma li univa un sodalizio spirituale indissolubile che nel tempo sfidò ogni calunnia, malalingua e pregiudizio. C’è chi insinua che Kodama abbia modificato la scrittura di Borges, editando e battendo a macchina i testi dei suoi libri: in verità si contaminarono a vicenda in quel dialogo a due che durò più di un decennio.
Lei non smise mai di essere “gli occhi di Borges”, tenne fede alla sua promessa anche dopo la morte dello scrittore Premio Nobel avvenuta nel 1986 ad appena due mesi dal loro matrimonio.
A lei, a Maria, Borges dedicò una breve, struggente poesia in cui la paragonava alla luna. In poche concise parole lo scrittore argentino condensa l’enigma ineffabile del satellite, cattura il suo bagliore aureo e la sua solitudine: il mistero doloroso della luna si fa così specchio di Maria, la donna amata.
Scopriamo il testo della poesia e la storia d’amore tra Jorge Luis Borges e Maria Kodama, che è davvero degna di un romanzo.
La Luna: la poesia di Borges per Maria Kodama
C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo. I lunghi secoli
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio.
La storia d’amore tra Maria Kodama e Jorge Luis Borges
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Maria Kodama conobbe Jorge Luis Borges per la prima volta quando aveva otto anni. A quell’età rimase ipnotizzata da Rovine circolari, uno dei racconti di Finzioni.
È possibile stabilire l’inizio di un amore? Se fosse concesso la storia d’amore tra Kodama e Borges inizierebbe da qui: quando lei è una bambina di otto anni e lui un uomo che scrive, perfettamente ignaro della sua esistenza, ma per lei l’immagine di lui nacque in quel momento esatto mentre leggeva le sue parole che aprivano dinnanzi ai suoi occhi infantili un mondo nuovo, labirintico e inesplorato. Questo almeno è quanto racconta Maria nel libro biografico María Kodama. Esclava de la libertad (Edicionès de la Flor, 2021) scritto dal giornalista argentino Mario Mactas.
Il mito di Borges regnava sovrano in casa Kodama. Il padre di Maria, un architetto giapponese, leggeva alla figlia le poesie di Borges come se fossero storielle della buonanotte. Lei, in seguito, disse di essere rimasta incantata dal concetto “la fame del cuore” che Borges associava alla donna amata. Era quello il pegno d’amore che Borges prometteva alla sua musa e Maria bambina lo prese alla lettera, come una profezia.
Gli anni passarono e Maria divenne ragazza, poi donna, nel frattempo quelle parole erano sedimentate dentro di lei come un segreto. Gli amici la chiamavano E.T., come extraterrestre, perché era una creatura inafferrabile, una bellezza strana e sfuggente. Era nata in Argentina nel 1937 da padre giapponese e madre tedesca, ma era stata cresciuta come una giapponese, educata ad essere prima di tutto una donna libera.
Da donna libera nel 1975 conobbe Jorge Luis Borges e divenne la sua segretaria, poi fu nominata sua assistente. Presto iniziò quel rapporto simbiotico trasposto nella letteratura. Lei, a sua volta scrittrice e traduttrice, lo aiutò a scrivere, a tradurre, batteva a macchina i suoi testi, rileggeva le sue parole ad alta voce per restituirgliene il suono. Poi, quando la malattia rubò la vista a Borges, lei divenne i suoi occhi, divenne le sue mani, la sua scrittura. Se l’amore deve essere inteso in un’ottica di complementarietà la coppia Borges-Kodama ne è l’esempio emblematico.
C’è una foto in bianco e nero un po’ sgranata che ritrae Maria e Jorge in una posa irriverente e svagata. Stanno camminando e sembrano quasi fuoriuscire dallo scatto. Lui la afferra per un braccio e lei si volta divertita come se volesse liberarsi dalla stretta. Il gesto di Borges sembra il tentativo di acchiappare una farfalla, pur sapendo di essere destinato a non riuscirci: Maria era stata educata da giapponese, da donna libera. Quella fotografia sintetizza perfettamente il loro rapporto. Lei sta davanti, è la guida, è il futuro e lui dietro, con gli occhi socchiusi, le si affida, le chiede di essere guidato.
Ricorda una poesia di Montale, Ho sceso dandoti il braccio, che si conclude proprio con un elogio alla vista del cuore. Le sole vere pupille erano le tue, dice Montale alla moglie Drusilla. Ma queste potrebbero essere le stesse parole di Borges a Maria Kodama, lei, la donna che per tutta la vita e oltre non ha mai cessato di essere “i suoi occhi”. Ora gli occhi di Maria si sono chiusi, con lei se ne va l’ultima vita di Jorge Luis Borges. Forse oggi si sono rincontrati in qualche labirinto cieco dell’immaginazione sulla strada dell’immortalità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La Luna: la poesia di Borges dedicata a Maria Kodama
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