La mappa del buio
- Autore: Mario Castelnuovo
- Genere: Musica
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2018
Sono aduso alle rarefazioni degli album di Mario Castelnuovo. Sguardi obliqui sulle cose visibili e invisibili. Non mi giungono nuovi i suoi crepuscolarismi, l’inclinazione fantastica, la valenza lata degli elementi naturali (aria-acqua-terra-fuoco); le aure sbieche che promanano dal bosco, dai rovi, dagli animali notturni - come, per esempio, "un barbagianni con i suoi occhi etruschi” (pag. 27)- , le corse del vento di tramontana, “quello che a furia di soffiare ha scorticato la terra, le case e le facce di chi è rimasto” (pag. 8).
Ma più di ogni altra conosco il fantasma della contessa del pozzo della fattoria. Diverse lune in là, l’avevo incrociato in una sua canzone (160 km da Roma) e ora lo ritrovo, perturbante babau di “La mappa del buio” (Castelvecchi, 2018), escursione narrativa del cantautore. Il fantasma della contessa non sono mai riuscito a togliermelo dalla testa, scopro adesso che in sua presenza bisogna fingersi forti, “altrimenti tornerà da te per sempre” (pag. 38).
160 km da Roma cantava di un paese spensierato (un paese “complice dei tanti sogni miei”) che nel romanzo - mi piace credere - assume il nome di Casteldinotte, e già l’appellativo rivela una certa tenebra, la lievità perduta. Probabile che c’entri il misurarsi col tempo.
Casteldinotte è diventato un paese per vecchi: vecchi sogni, vecchi orologi, vecchi paesaggi e vecchi pure i fantasmi. Pertubamenti e nebbie da gotico rurale. Una Macondo etrusca, una declinazione boschiva di ghost town, una terra di mezzo dove le percezioni si sfrangiano, le dimensioni si intersecano, e gli amici salutati un giorno in calzoncini corti sono, per lo più, parvenze dei ragazzini che erano.
In questo porto canale di ombre, in "questa terra di vulcano" abbandonata da giovane e mai più rivista, ritorna uno scrittore in cerca di pace, restando invece irretito in un moto circolare popolato di luoghi e presenze fantasmatiche. Casteldinotte si rivela infatti come degrè zero, l’ora sospesa tra il cane e il lupo in cui l’occhio si arrende alle visioni (o alle dispercezioni?): le volpi fugaci che ti fissano oblique, il reiterato bussare di nessuno nel cuore della notte, i fantasmi “del vecchio pievano e di un ufficiale tedesco giù al boschetto”, donne “coi capelli di lupo”, e a diverse altre stupefazioni da bestiario fantastico. “La mappa del buio” è allora un ossimoro.
Il romanzo-milieu dove tenebra e luce si frangono e ricompattano di continuo. Come, del resto, gli ambiti dimensionali presente/passato, realtà/ fantasia (la più febbrile), e quelli ontologici di perdizione e redenzione.
Un romanzo circolare, ipnotico, suggestionante, scritto con identico nitore poetico delle sue ballate. Di più: arrivo a dire che “La mappa del buio” può assumersi come la ballata più estesa che Mario Castelnuovo abbia scritto sin qui. La più copiosa e stratificata: onirica, paurosa, rimembrante, nera, inquieta e pacificata al contempo. Una ballata-romanzo che consiglio senza remora. A chi Mario Castelnuovo non lo conosce, e a chi tra le pieghe di questo libro rintraccerà parte del suo microcosmo frastagliato, le sue oceanie, i suoi fili di canapa, il realismo magico a cui ci ha abituato. Da tempo.
LA MAPPA DEL BUIO
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“Mario.....un anima pura,arrivata dal”800,per ricordarci ancora come un tempo,che anche nel 2000,esistono e rivivono,struggenti ricordi ed anime di un tempo che fu....tuttora presenti in carne ed ossa in belle persone,seppur rarissime,come lui”