La memoria dei corpi di Marina Di Guardo

Giorgio Saveri ha appena quarant’anni, ma si è già ritirato a vita privata nella sua villa di famiglia, nel piacentino. Le troppe delusioni, lo hanno spinto lontano da quella carriera di avvocato penalista che si era scelto, fino a diventare una sorta di “guardiano silente” delle tante opere d’arte che arredano, con la loro sinistra presenza, la lussuosa abitazione ai margini di un fitto bosco. L’unico legame col mondo esterno, dopo la morte dei genitori avvenuta in circostanze tragiche, è rappresentata dalla figura della domestica Agnese, per Giorgio quasi una mamma.
Quando conosce la bella ed enigmatica Giulia, in circostanze fortuite, inizierà per il protagonista de “La memoria dei corpi” di Marina Di Guardo, secondo thriller pubblicato dall’autrice con Mondadori, un periodo di eventi tragici.
Non solo l’amata Agnese scomparirà nel nulla, lasciando Giorgio afflitto e sgomento, ma in molti saranno i personaggi a nascondere dei segreti. Anche perché si scoprirà che, proprio in quella zona, altre donne sono sparite e mai più ritrovate.

Parlare di questa storia non è facile, cercando di non svelare il finale. Ma è proprio da qui che vorrei partire. Un finale potente e ricco d’azione: il capitolo più bello del libro. Perché durante la narrazione, si ha come la sensazione che qualcosa rimanga in sospeso. Poche sono le chiarificazioni; le indagini sfumano e restano nel vago. Leggendo appunto l’epilogo, i tasselli vanno finalmente al loro posto e ci si rende conto che l’autrice, attraverso il suo stile cinematografico, era proprio a quello che puntava.
Per come la storia va a finire, insomma, si rivela il giusto approccio e l’unico possibile.
Le atmosfere cupe, un po’ in stile “La casa dalle finestre che ridono” di Pupi Avati, mescolate al piccante di qualche scena erotica, dato che fra Giorgio e Giulia si sviluppa un rapporto conflittuale fatto di desiderio e di attrazione, rendono questo thriller, intinto di sfumature noir, una lettura piacevole che spinge a considerare i lati più oscuri dell’uomo. Quelli celati dietro una normalità e che difficilmente trapelano in superficie. Solo dopo un’aberrante discesa agli inferi, il torbido infatti riemerge, obbligando chi è colpevole a gettare inesorabilmente la maschera.