Non c’è modo di indagare il mistero eterno della morte, di penetrare il suo abisso senza luce, che appare perso in una insondabile assenza di significato.
“La morte si sconta vivendo”, diceva con parole atrocemente esatte un grande poeta italiano, Giuseppe Ungaretti, ricordando che la morte è un sentire tipico dei vivi, perché solo chi è vivo concepisce lo strazio della morte e, soprattutto, il dolore inguaribile per la perdita dei propri cari.
La verità è che la morte è una realtà inammissibile per i viventi che non riescono a capacitarsi di questa separazione definitiva, questa barriera invalicabile capace di separare l’amante dall’amato, l’amico dall’amico, genitori e figli, persone che in vita erano unite da legami saldi e indissolubili. Ciò che ci strazia della morte è la separazione, ma forse dovremmo comprendere che proprio questa stessa parola “separazione” è la matrice stessa del mistero della vita: la nascita ci separa per sempre dal corpo accogliente della madre e ci conduce in una nuova dimensione, dapprima ignota.
La natura della morte è stata indagata dal teologo e scrittore britannico Henry Scott Holland, docente presso l’università di Oxford. Nel 1910, presso la St Paul Cathedral di Londra, Scott tenne un sermone in memoria di Re Edoardo VII intitolato Death of the King of Terrors. Da questa riflessione sull’inspiegabilità della morte derivò un altro poema, divenuto celebre, Death is nothing at all, La morte non è niente, che sembra richiamare la filosofia espressa da Sant’Agostino sulla continuità eterna della vita e l’immortalità dell’anima.
Ne risulta poesia consolatoria e non stucchevole che si posa sull’anima con l’effetto benefico di una preghiera. Le parole di Holland sono applicabili alla vita di ciascuno di noi, di chiunque abbia avuto esperienza della perdita e sembrano sciogliere il nodo indistricabile di contraddizioni che la morte comporta. Con saggezza il teologo britannico ci ricorda che in realtà “la morte non esiste” e che non può esserci separazione definitiva finché sopravvive il ricordo.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia di Henry Scott Holland.
La morte non è niente di Henry Scott Holland: testo
La morte non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.
La morte non è niente di Henry Scott Holland: analisi e commento
Il poema in sei stanze di Henry Scott Holland è modulato sui toni di un’orazione, scritta però in prima persona in modo da far identificare chi legge con la voce narrante del defunto. Con un artificio stilistico Holland dà parola proprio a colui che non può più parlare: alla persona defunta, mettendo così in dialogo i due estremi che nella realtà non possono in alcun modo toccarsi, la morte e la vita.
È la persona che non c’è più a dialogare con i suoi cari e a indirizzare loro parole consolatorie: “La morte non è niente” dice e per rafforzare il concetto annienta il terrore più profondo che attanaglia i vivi, ovvero l’angoscia della separazione.
Sono solo passato dall’altra parte.
Questo il verso più consolatorio del poema di Henry Scott Holland. Lo scrittore britannico, con saggezza, ci ricorda che la morte è solo un naturale passaggio di stato, proprio come la nascita e, dunque, non comporta alcunché di infernale o doloroso. L’uso di un termine dolce come “nothing”, niente in italiano, sembra il soffio delicato su una ferita ancora aperta e pare ricordarci che non c’è nulla di cui aver paura, non c’è ragione per cui disperarsi e nulla di irreparabile in realtà è accaduto. Chi abbiamo amato non è perduto, perché l’amore dura ancora.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Holland elogia la potenza del ricordo, rammentando che chi abbiamo amato continua a vivere con noi in ogni gesto, in ogni parola e sembra risorgere in ogni nostro sorriso. Lo scrittore e teologo britannico afferma una forma di continuità tra morte e vita, mostrandole come due dimensioni coesistenti e tuttavia non comunicanti. Esiste tuttavia un modo per aggirare questa incomunicabilità, e Holland ci svela qual è il trucco.
Chi è sparito dalla nostra vista è ancora presente nel nostro cuore, ed è da lì che ci parla ancora con le stesse parole, con le stesse speranze che lo animavano quando era presente accanto a noi. Sorride accanto a noi, ora come allora.
Nell’ultima strofa Henry Scott Holland ci invita a pensare i nostri cari defunti come se ancora fossero vivi, solo “da un’altra parte”. In quell’oltre indefinito che pure è molto, molto vicino a noi, più di quanto noi stessi possiamo pensare.
Nella conclusione del poema si rinforza infine una promessa, quella di “ritrovarsi”, che riesce a dissolvere quella visione brutale, deprimente e irreparabile che abbiamo della morte come se fosse una frontiera invalicabile, un nulla che non ci riguarda. La possibilità di ritrovarsi, di ricongiungersi in un abbraccio con i cari defunti si realizza persino durante la nostra vita: ogni nostro sorriso, dice Holland ribadendo il significato più profondo della parola “amore”, è la loro pace.
Bisogna pensare morte e vita come un tutt’uno, perché nulla nell’universo è mai passato o perduto per sempre, tutto ritorna in un ciclo continuo. Ogni cosa esiste sullo stesso piano e morte e vita non sono che due volti una stessa realtà coesistente. Intesa in quest’ottica anche una parola dal peso di pietra, come “eternità”, assume tutto un altro significato. Perché ciascuno è eterno nel cuore di chi ama e non può esserci separazione definitiva, finché esiste il ricordo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La morte non è niente: la struggente poesia di Henry Scott Holland
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