La mossa del cavallo
- Autore: Andrea Camilleri
"La mossa del cavallo" (Milano, Rizzoli 1999) rappresenta fatti paradossali che si svolgono nel 1877 quando si pagava l’odiata tassa sul macinato. Di essi Camilleri, così egli stesso scrive, ha tratto lo spunto da un episodio raccontato da Leopoldo Franchetti in Politica e mafia in Sicilia: quello di un ispettore torinese dei molini che, dopo aver denunciato un omicidio, si trova la sera stessa accusato. La strategia compositiva è analoga a quella sperimentata ne La concessione del telefono. A un lungo racconto, talora divertente, che fa toccare con mano lo squallore del contesto paesano, si alternano documenti burocratici e non (Rapporti, lettere, articoli di giornale): la corruzione è dilagante e la dissolutezza dei costumi non risparmia neanche il clero.
Attenzione, spoiler trama - Padre Carnazza fa l’usuraio e note sono le sue relazioni erotiche con donne del luogo. I predecessori di Bovara, ispettore capo dei molini, erano stati uccisi, perché anch’essi avevano chiesto un aumento delle tangenti. Pure l’intendente prendeva mazzette dalle multe ai molini. Don Cocò Afflitto, il mafioso che incute paura, è il manovratore occulto degli intrighi. Quando Bovara chiede notizie su costui, suo cugino subito va via. Qualche giorno dopo lo informa addirittura per iscritto che non può recarsi a cena da lui per gravi impedimenti familiari. Bovara, nato a Vigàta ma dall’età di tre mesi portato dalla famiglia a Genova, è il funzionario che non cede ai tentativi di corruzione. All’usciere che gli consegna un piatto di vivande come dono di don Cocò, oppone un netto rifiuto e gliene ordina la restituzione. La sa lunga però il mafioso e a quel diniego si diverte alle sue spalle. Cominciano da qui le macchinazioni a suo danno, eppure egli non desiste dal mostrarsi determinato a svolgere il compito d’ufficio senza alcun compromesso. Le persecuzioni si susseguono fino a quando viene architettato un piano in base al quale è dichiarato colpevole di un delitto mai commesso. Chi è la vittima? Quale il movente? In un primo tempo gli si dice, dopo essere stato trattenuto in camera di sicurezza, che ha inventato i fatti e forse anche lo stesso delitto perché, nel luogo da lui indicato, non si è trovato il corpo dell’ucciso. Bovara, ricordandosi di alcuni precedenti in famiglia, addirittura crede di non avere il pieno possesso delle facoltà mentali. Ecco la messa in scena della prova relativa alla sua colpevolezza: accompagnato a casa dai funzionari di polizia, inciampa nel cadavere dell’ucciso. Riuscirà a dimostrare la sua innocenza? E con quali prove?
Nella partita a scacchi, si sa, la “mossa del cavallo” consiste nella controffensiva a sorpresa per sfondare la zona dell’avversario, spiazzandolo. Smette di esprimersi in dialetto genovese e utilizza il dialetto delle sue origini. Così, pensando e parlando da siciliano ora può trarne un beneficio personale. In che senso? Poi un altro delitto e, accanto al cadavere, il ritrovamento di una confessione scritta. Gli inquirenti non la ritengono veritiera, ma si astengono dal proseguire le indagini: tanto non si arriverebbe mai a conoscere l’effettivo svolgimento dei fatti. Meglio prendere per buona la confessione e procedere all’archiviazione del caso. Bovara viene scarcerato, ma non ne esce vittorioso, dato che viene invitato dall’intendente a non recarsi in ufficio per ragioni di opportunità. A trionfare, quindi, è l’impossibilità dell’accertamento della verità: fatto, questo, sempre più consueto nell’Italia d’oggi.
La mossa del cavallo
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