Il primo capitolo di Ritorno a Jean-Paul Sartre (Einaudi, 2021) di Massimo Recalcati è dedicato a La nausea, il libro che per una certa generazione successiva alla Seconda guerra mondiale significò l’ingresso nel panorama filosofico-culturale e nella psicanalisi, dando all’autore una vera e propria egemonia culturale.
Fu lo strutturalismo che cancellò la vocazione umanistica del pensiero sartriano precipitandolo nell’oblio.
Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio
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Per noi ci sono dei libri che risultano diversi da tutti gli altri, ci sono dei libri che ci appaiono nel corso della nostra formazione come dei veri e propri incontri, cioè che segnano dei punti di cominciamento, dei punti di inizio, dei punti di svolta, libri che trasformano il nostro rapporto col mondo.
“La nausea è stato per me – dice Recalcati – uno di questi libri, un libro trauma che ha assunto le caratteristiche di un vero e proprio evento, prima della psicanalisi, a vent’anni quando io ero immerso negli studi filosofici”.
La nausea
Ne La nausea, pubblicato nel 1938, Sartre scopre l’esistenza come pieno che incolla la vita a un piano di immanenza assoluto impossibile da evadere. Il romanzo attrae non solo il giovane Recalcati, non ancora psicanalista ma filosofo.
È la filosofia della libertà nel senso che il valore della vita si incarna nella vita stessa, che non c’è un valore che precede la vita, che la libertà della vita umana coincide con la sua essenza. La vita umana non appare nel romanzo come trascendenza; sarà il Sartre maturo che si sforzerà di emancipare l’esistenza umana rispetto ad altre forme di esistenza.
Il protagonista del romanzo, Antoine Roquentin, uno storico che sta svolgendo una ricerca nella cittadina di Bouville sul marchese de Rollebon, una figura minore del settecento francese, scopre che il paradosso dell’esistenza consiste nel fatto che pur essendo in ogni cosa, dappertutto, pur essendo tutto esistenza, l’esistenza non appare, non si mostra, non viene alla luce.
Lo si vede bene anche nella vita dei salauds, i sordidi, gli abitanti di Bouville che si ostinano a pretendere il diritto all’esistenza come un dono di Dio, ma essi non sanno di esistere alla stessa maniera di Roquentin e alla stessa maniera dell’autodidatta che si illude con il sapere di dominare l’esistenza.
La cittadina di Bouville rappresenta la rimozione collettiva dell’esistenza, vive dentro le impressioni canoniche come Lacan definisce la realtà: la regolarità, la continuità, la costanza che consente di affidarci al quadro sufficientemente stabile della realtà. A proposito dei cittadini di Bouville Sartre dice:
“Tutto il loro il mondo ubbidisce a leggi fisse e immutabili… sono pacifici un po’ melanconici, pensano sempre al domani cioè ad un altro oggi, le città non dispongono che di una seconda giornata che ritorna sempre uguale, la si impennacchia un po’ solo la domenica”.
Sarà la rivelazione della nausea a squarciare il velo delle impressioni canoniche: quel mare che gli abitanti percepiscono come un velo verde in realtà nasconde mare freddo e nero, pieno di bestie mostri.
Sarà di fronte a una grossa radice in un giardino che a Roquentin si rivela la contingenza dell’esistere, ogni cosa, compresa la propria esistenza, gli appare un eccesso, capire che tutto è gratuito gli provoca la nausea.
Solo ascoltando una musica jazz il protagonista intravede improvvisamente la possibilità di dare un senso alla vita e attraverso la scrittura trova la soluzione a questo suo malessere che percepisce di tipo estetico.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La nausea: Recalcati analizza il capolavoro di Jean-Paul Sartre
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