C’è una sorta di grammatica pittorica nelle opere di Carla Accardi, ora in mostra a Roma presso Palazzo delle Esposizioni in occasione del centenario dalla nascita dell’artista. Il segno diventa traccia, suggerisce la medesima volontà espressiva della parola. I quadri di Accardi sono pieni di segni che appaiono come geroglifici, immagini rupestri non del passato ma del futuro, una sorta di futuro anteriore.
Non sorprende scoprire, in una delle ultime sale della mostra romana, che Carla Accardi fosse un’amante della poesia. L’ultima sala è un’esplosione di colore, colpisce soprattutto un quadro - uno degli ultimi di Accardi, realizzati poco prima della sua scomparsa nel 2014 - denso di sfumature blu e bianche dal titolo enigmatico Imbucare i misteri. Come scopriremo, non si trattava di un titolo casuale.
Sigillati dietro il vetro trasparente delle teche si scorgono dei suoi quadernetti a righe, le pagine sottili sono vergate con la sua scrittura minuta ed elegante: “Titolo scelti”, c’è scritto in alto sottolineato da un deciso tratto di penna, segue una lista Luce crescente, Vuoto silenzio, Movenze notturne, Ingrandendo e disperdendosi, Sulla rete dei rami, sono i titoli dei suoi quadri, ma anche i versi dei poeti da lei amati, Dino Campana, Andrea Zanzotto, Daniele Pieroni, Francesco Serrao e Valentino Zeichen che a lei dedicò dei versi memorabili: A Carla Accardi.
Non era l’unico ritratto letterario di Carla Accardi, come vedremo.
Carla Accardi nella poesia di Valentino Zeichen
Nel poemetto intitolato A Carla Accardi, Valentino Zeichen definisce l’artista come colei che inventò il “Naturalismo pittorico e l’arte astratta”.
Memorabile la seconda strofa che ci restituisce l’essenza di Accardi:
Scultori muscolosi, ideologi,
pretesero da Carla chiarimenti
incluso il luogo di provenienza
e strabiliarono nel sentire “Sbarco dall’Arcadia”.
C’era la verosimile somiglianza col suo nome: Accardi
ma lei era un’arcade ribelle.
Un’arcade ribelle, così Zeichen definisce Accardi, presentandoci il ritratto di una donna che sembra non avere nulla da invidiare all’arciera Diana di omerica memoria o a qualche personaggio eroico della Grecia classica. Il poeta ci sta suggerendo l’immagine di un’esploratrice, di una pioniera, quale del resto Carla era, colei che avrebbe trovato nuove armonie cosmiche nella forma e nel colore, trasformando la linea del colore in un simbolo, donandole una facoltà espressiva propria non dissimile dal potenziale semantico - e significante - della parola.
Era stata, del resto, una delle prime donne italiane a dedicarsi all’astrattismo pittorico e una delle femministe pioniere degli anni Settanta. Fu sempre lei, la ribelle Carla, a dare vita al movimento di Rivolta Femminile insieme ad altre donne, tra cui figurava Carla Lonzi - l’autrice di Sputiamo su Hegel - che l’avrebbe fotografata per sempre in quell’intervista contenuta in Autoritratto, dove Accardi appare, unica donna, in mezzo ad artisti e pittori uomini.
Carla Accardi nell’Autoritratto di Carla Lonzi
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A maggio ritornerà in libreria per Edizioni La Tartaruga, Autoritratto. Scritti sull’arte di Carla Lonzi, nel quale è presente la formidabile intervista a Carla Accardi. Il sodalizio, intellettuale e politico, tra le due durò circa un decennio. E Accardi era l’unica donna intervistata nel libro di Lonzi. La sua era significativamente l’ultima intervista, quella conclusiva. Le parole di Accardi erano già un discrimine, un punto di rottura:
Perché una donna deve sempre tenere presente il fatto che sta lottando, però, per poter godere di una parte di felicità.
I suoi quadri ad alta saturazione, con quei segni incomprensibili e ipnotici che appaiono come una firma, ci stavano già dicendo questo, in fondo: la rabbia e l’orgoglio, il mondo interiore rovesciato come le viscere di una donna che sa esattamente in quale direzione sta andando. Fu un’artista donna negli anni in cui essere “donna” e “artista” rappresentava una sfida contro il mondo. Realizzò le sue prime opere nel 1947, quando quadri dal profili geometrici dai titoli come Forma 1 rappresentavano uno schiaffo all’arte classica.
Carla Accardi nel suo autoritratto pittorico
Il padre disse “Non si è mai vista un Raffaello donna”, lei lo era, per tutta risposta si mise in posa di tre quarti per il suo autoritratto rappresentandosi come Raffaello. Il quadro, olio su tela, si intitola Autoritratto. 1946 ed è esposto nella mostra romana di Palazzo delle Esposizioni. Solo lei poteva autorappresentarsi e lo fece attraverso la pittura, la sua personale “grammatica pittorica”. C’è chi nei segni sottili e distanziati dei suoi quadri individua una specie di alfabeto. Carla Accardi stava scrivendo a modo suo, nelle sue ultime rappresentazioni trasformò la poesia in arte pittorica: diede colore alle parole, illuminandole, dimostrando che talvolta il significante supera il significato. Dal suo autoritratto ci fissa composta e assorta, enigmatica come una Monnalisa; sembra avere sempre ventidue anni, anche nel centenario della sua nascita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La poesia pittorica di Carla Accardi in mostra a Roma a Palazzo delle Esposizioni
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