La presenza pura
- Autore: Christian Bobin
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2019
Aforismi, meditazioni, pensieri poetici, preghiere laiche… Come definire le prose di Christian Bobin, scrittore francese nato nel 1951, negli ultimi decenni sempre più tradotto, letto e ammirato anche in Italia? Filosofo e maestro di pensiero, oscillante tra un cristianesimo di tipo francescano e un buddismo meditativo, offre ai lettori la sua visione del mondo con una pacatezza gentile e discreta, priva di qualsiasi boria o pretesa di conversione.
Parla della natura e di Dio, del rapporto con il prossimo e con il tempo che scorre, della grazia dei gesti e della riconoscenza che dobbiamo al semplice fatto di esistere.
Nell’ultimo volumetto pubblicato dalle edizioni pugliesi Animamundi (2019, traduzione di Guido Dotti), La presenza pura, il tema fondamentale è la capacità di interrogare se stessi attraverso il dialogo sommesso con interlocutori muti.
Un albero piantato di fronte alla finestra della sala, solido e severo custode dei giorni e delle notti dello scrittore, gli impartisce quotidianamente insegnamenti silenziosi attraverso lo spuntare e il cadere delle foglie, l’ombra stagliata sul terreno, lo stormire dei rami nella tempesta. La sua presenza è rassicurante anche nella notte, “come per il bambino perduto nel sonno la voce dei genitori nella stanza accanto”.
L’albero accoglie senza ribellione l’alternarsi di luce e buio, i passeri che si nascondono tra le sue fronde, il vento che si abbatte sul suo tronco: così fermo e indifeso è anche il padre dell’autore, malato di Alzheimer e ricoverato in una clinica di lunga degenza, assistito malvolentieri da infermieri impazienti, ridotto al silenzio; l’albero e il vecchio padre, entrambi immobili e fuori dal tempo.
“C’è in me una tomba”, breve frase pronunciata dall’anziano genitore e subito cancellata dalla sua memoria.
Il figlio lo va a trovare, spesso senza essere riconosciuto, lo prende per mano e lo accompagna in refettorio o a passi brevi in giardino, gli parla e non ottiene risposta. Presenza viva e inanimata come quella dell’albero, che si accontenta anche solo di respirare. Nel ricovero non si vede:
nient’altro che la vita secca, ciascuno aggrappato al suo piccolo scoglio finché la fatica convince di abbandonare la presa – allora è l’inghiottimento, la grande onda della morte bianca.
Intorno cambiano le stagioni, d’inverno la neve attutisce ogni suono e ogni dolore: anche le urla dei degenti, che spesso chiamano la mamma, tornando bambini. Sono “re senza cortigiani”; regale, solitario, zitto è anche l’albero amico.
Nell’intensa prefazione al libro, Lorenzo Gobbi mette in luce la dote più rilevante di Christian Bobin: il pudore con cui si avvicina a cose e persone, “nel timore di essere importune”, lo sguardo umilmente empatico, intenerito e insieme intimo con cui sa descrivere “la presenza pura” di ogni esistenza, prestando attenzione soprattutto a quello che è piccolo e sottovalutato:
Ciò che in noi è ferito chiede asilo alle più minute cose della terra, e lo trova.
Simone Cristicchi, che firma la pagina iniziale del testo, saluta Bobin “canale di bellezza e meraviglia... la cui poesia ha radici piantate in cielo”.
La presenza pura
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