La promessa di Giovanni Cocco

Sei giorni, suddivisi in sei capitoli (più prologo ed epilogo). Duecento pagine in tutto: bastano e avanzano per la cronaca di una catarsi; l’autoanalisi attraverso cui Vincent De Boer, io-narrante di “La promessa” , Giovanni Cocco (Nutrimenti, 2015) arriva a identificarsi con Andreas Lubitz, co-pilota del volo 4U9525 della Germanwings, che la mattina del 24 marzo 2015 si suicida schiantando l’aereo contro il massiccio del Trois-Évêchés, in Francia. Il velivolo era partito da Barcellona e aveva a bordo centocinquanta persone, membri dell’equipaggio compresi: vite diverse accumunate da un unico destino, come si dice spesso in questi casi. Il tema della fatalità, e di contro quello del libero arbitrio, attraversano sotto-testo le pagine del romanzo, ma il suo aspetto più spiazzante - va ribadito - è la comunanza interiore del protagonista con la figura del suicida-omicida. Come si legge verso la fine del libro:

“Per quanto la cosa possa apparire bizzarra, un’allucinazione che non mi permetterebbe più di distinguere il bene dal male, e un pluriomicida da una persona perbene, sento di potere affermare che Lubitz, in fondo, non era troppo diverso da me”

Il lettore è accompagnato in progress dentro i prodromi traumatici radici di questa specularità psicologica (attacchi di panico, depressione, il mal de vivre tipico del transitare nell’età matura). Non senza rimandi “alti” ad Agostino (la prima parte del romanzo si intitola “Le Confessioni”) e a Thomas Bernhard (“Estinzione” è il titolo della seconda parte), sullo sfondo di una Francia-mondo, paradigma di precarietà ontologica. Dinnanzi a un “caso” di portata meta-cronachistica, l’indagine sul “mostro” intrapresa dal giornalista-protagonista è dunque restituita in parallelo: da un lato il disvelamento dei fatti “oggettivi” legati al disastro, dall’altro l’interpretazione “soggettiva” tanto del vissuto di De Boer quanto del pilota artefice della strage. La storia convince sulla scorta della sua universalità, imponendosi come una riflessione senza edulcoranti sul senso della vita e, di rimando, come resoconto a tinte fosche di una contemporaneità senza coordinate di riferimento.