La psicologia del giocatore di scacchi
- Autore: Reuben Fine
- Genere: Psicologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
“Se prendiamo in considerazione i tre significati simbolici del Re, lo scacco matto significherà innanzitutto la castrazione.”
“Poiché nel gioco degli scacchi non esiste il minimo elemento di causalità, la vittoria è il risultato dei propri meriti e la sconfitta dei propri errori.”
Il gioco degli scacchi. Sedici pezzi chiari e altrettanti scuri, i quali hanno la possibilità di muoversi con dinamiche diverse su una scacchiera con sessantaquattro caselle di due colori che si alternano; si accettano alcune regole e sembra di aver colto tutto, senza aver trascurato nulla d’essenziale. Esiste invece un mondo incredibilmente complesso, fatto di storia e storie, di strategie militari applicate, di insospettabili violenze, tranelli, agguati e conflitti dai contorni insondabili. Dietro ogni partita silenziosa si può immaginare qualsiasi battaglia, dalla più banale alla più distruttiva. ma tutto questo rappresenta solo una porzione piccola delle implicazioni del gioco. Dall’altro lato ci sono gli esseri umani. È di questo che si occupa Reuben Fine (1914-1993) scacchista di livello internazionale e psicanalista, nel suo saggio "La psicologia del giocatore di scacchi" uscito per la prima volta nel 1956 e più volte ripubblicato.
Il volume comprende tre parti essenziali: la prima è più corposa ed ha lo stesso titolo del libro. All’interno di essa l’autore individua una serie di concetti generali e indaga brevemente la psicologia di alcuni campioni del passato meno recente. Gli altri due saggi hanno per oggetto le biografie dei due celebri campioni Fischer e Spassky. Fine individua quattro aspetti che caratterizzano l’intelligenza dei giocatori e che sembrano predominanti: la memoria, la visualizzazione, l’organizzazione e l’immaginazione. Indaga il legame tra il mondo della psiche e l’attività scacchistica di alto livello, tentando di rintracciare classi di comportamento, di strutturare, di formare insiemi, di cercare come un approdo sicuro i contatti tra il gioco e il giocatore. Non sempre ci riesce perché forse non è possibile.
Esamina le personalità dei giocatori e le mette a confronto con una serie di precetti e teorie psicanalitiche, cerca il punto comune a tutti i giocatori, e cerca di rispondere alla domanda se esista un rapporto tra la personalità e lo stile di gioco di ciascuno. Tenta di individuare psicosi e disturbi, personalità diverse e comportamenti che si corrispondono, ma scopre che nella varietà smisurata non è possibile risalire ad una formula che comprenda tutto.
Il libro è di grande utilità perché apre orizzonti potenzialmente infiniti, anche se restano da dimostrare concetti come “Il profuso simbolismo fallico degli scacchi” o “I conflitti della libido gratificati negli scacchi”. Fine mette in piedi un esempio di studio tipico della scuola freudiana più spinta, che pretende di far derivare ogni comportamento umano da un certo tipo di meccanismo inconscio, il che costituisce, probabilmente, il limite più evidente di questo libro.
La psicologia del giocatore di scacchi
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La notazione più interessante la fa Pontiggia nella prefazione: gli epigoni di Freud hanno trasformato ipotesi di lavoro in dogmi.