Fotografia di Giulio Migliavada
Valeria Montaldi è nata a Milano, dove ha seguito gli studi classici e si è laureata in Storia della Critica d’Arte. Dopo una ventina d’anni di giornalismo dedicato a luoghi e personaggi dell’arte e del costume milanese, nel 2001 ha esordito nella narrativa con Il mercante di lana (Premio Città di Cuneo, Premio Frignano, Premio Roma), cui sono seguiti Il signore del falco, Il monaco inglese (finalisti Premio Bancarella), Il manoscritto dell’imperatore (Premio Rhegium Julii), La ribelle (Premio Città di Penne, Premio Lamerica, Prix Fulbert de Chartres), La prigioniera del silenzio. I suoi libri sono pubblicati in Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Grecia, Serbia, Ungheria, Brasile.
È da poco uscito in libreria La randagia (Piemme 2016, pp. 432, 19,00 euro), il nuovo romanzo dell’autrice lombarda, protagonista una giovane donna bellissima, “dalla fama di guaritrice”, vissuta nel Medioevo alla fine del Quattrocento. Con abilità e precisione storica, Montaldi racconta la storia di Britta da Johannes considerata una strega dagli abitanti del villaggio di Machod, in Val d’Aosta, accusata d’innumerevoli malefici e di un omicidio, imprigionata nel castello di Saint Jacques aux Bois e messa al rogo. “Mia unica madre è la Terra”. Molti secoli dopo, un gelido mattino di novembre del 2014, Barbara Pallavicini, studiosa di medievistica, aveva raggiunto le rovine del castello di Saint Jacques aux Bois, pericolante e chiuso al pubblico. Nel sotterraneo del maniero, nei locali un tempo adibiti a carcere, Barbara era sulle tracce dell’ultimo tassello della sua ricerca, cioè l’iscrizione lasciata da una donna condannata per stregoneria. Ma quello che aveva illuminato la sua torcia non era un’iscrizione vecchia di cinque secoli ma il viso cinereo e gli occhi di una donna che la fissavano vitrei. Il collo, piegato in una posizione innaturale, era avvolto da una massa lanuginosa di capelli biondi. Il resto del corpo scompariva tra i rifiuti.
“Barbara cacciò un urlo, balzò all’indietro e cadde a terra, stordita”.
Passato e presente si rincorrono in questo riuscito romanzo che ripercorre il triste destino di Britta simile a quello di tante donne sospettate di stregoneria in un periodo storico, il Medioevo, mai così potente e attuale com’è descritto in queste pagine.
“... dicono che sia una strega e che il suo tocco malefico possa procurare la morte”.
Abbiamo intervistato la scrittrice.
- Signora Montaldi, per quale motivo ha scelto come esergo del volume una frase tratta dalla tragedia “Macbeth” di William Shakespeare: “When shall we three meet againe? In thunder, lighting or in raine?” - (“Quando ci incontreremo ancora noi tre? In tuono, lampo o pioggia”)?
Perché il libro parla di streghe vere o più realisticamente presunte quindi il gergo del “Macbeth” mi è sembrato il più adatto per introdurre il lettore in una storia inquietante fatta di violenza gratuita piuttosto che di stregoneria.
- “Io sono un’erbaria, non una strega”. Di solito, le donne sospettate di stregoneria erano contadine, levatrici, erboriste, in ogni caso analfabete. Britta, invece, era la figlia di un apotecario che conosceva il latino, la quale viveva in una malga, unico compagno, il lupo Argo. Ce ne vuole parlare?
Per me Britta rappresenta l’archetipo della donna di oggi e cioè una donna determinata, che non ha paura di condividere la propria solitudine con un lupo e basta. Britta inoltre sa leggere e scrivere e nel Medioevo non era un fatto così frequente, non lo era per niente nemmeno fra le aristocratiche. Quindi Britta era una donna in grado di ribattere punto su punto alle accuse che le erano rivolte, accuse ingiuste e infamanti. Oggi come nel Medioevo, la donna acculturata, cioè colei che riesce a esprimere se stessa a 360° fa molto più paura di colei che non è in grado di farlo, perché è meno temibile. Il legittimo desiderio di libertà di una donna del genere è sempre e comunque pagato a caro prezzo. La mia intenzione scrivendo il libro era quella di dimostrare che una figura femminile moderna come quella di Britta poteva vivere in qualsiasi epoca storica.
- Se è vero che le valli valdostane da sempre conservano miti, leggende e tradizioni narrative le cui storie intrecciano fantasia e realtà (tra le quali anche quelle che riguardano le streghe), in epoca medievale in questi luoghi quanto era attiva l’Inquisizione?
L’Inquisizione era piuttosto attiva sia per i casi di eresia che erano molto frequenti, sia per i processi alle streghe. Fra il Quattrocento e il Cinquecento in Val d’Aosta si contano decine e decine di processi alle streghe alcuni dei quali, non tutti, conclusi con la condanna al rogo. Le donne che non erano bruciate vive venivano bandite dai luoghi natii dopo essere state spogliate di ogni bene, costrette a vagare per il mondo come randagie, appunto.
- Fin dalla lettura delle prime pagine del romanzo ci si accorge che lo stile è diverso da quello dei Suoi libri precedenti. È una sensazione esatta o no?
Questo nuovo romanzo che ho scritto in due anni e mezzo, ha rappresentato una sfida con me stessa. Mi sono detta “Proviamo a vedere se riesco a scrivere un romanzo che parla sia di oggi, sia del passato”. È ovvio che nei capitoli in cui descrivo una situazione accaduta cinquecento anni fa, devo usare un determinato linguaggio, che poi è quello che ho sempre usato nei miei romanzi. Invece nei capitoli che descrivono il mondo contemporaneo, naturalmente devo far parlare i miei personaggi con un linguaggio moderno. Facendo questo lavoro mi sono divertita moltissimo e mi sono sentita più libera. Non ho cambiato il mio stile ma ho adattato lo stile della scrittura al momento in cui si svolge l’azione di cui sopra.
- Quali fonti e documenti ha consultato per la redazione del testo?
Oltre alla documentazione sui processi alle streghe nel Medioevo in tutta Europa che è molto vasta, ho consultato “La stregoneria nella Valle d’Aosta medievale” scritto dallo storico Ezio Emerico Gerbore e dalla studiosa dell’Inquisizione in Val d’Aosta Silvia Bertolin (Musomeci Editore, 2003) e “Processi per fede e sortilegi nella Valle d’Aosta del Quattrocento” di Silvia Bertolin (Tipografia Valdostana, 2012), dove vengono specificati i vari passaggi dei dibattimenti dei processi alle streghe. Le preziose notizie riportate nei due testi mi hanno permesso di ricostruire un quadro verosimile della situazione processuale che c’era nella Valle d’Aosta medievale contro le streghe: la funzione del procuratore, la funzione dell’inquisitore, le domande, i testimoni, ecc...
- Nel tratteggiare sia la figura di Caterina da Colleaperto “maestra in medicina”, protagonista de La ribelle, sia le due donne, due madri, personaggi principali de La prigioniera del silenzio, ha raccontato quanto siano ancora vive le similitudini con il passato, per far riflettere su quanto ci sia ancora da fare per raggiungere una parità effettiva. Desidera darci un Suo parere al riguardo?
Il mio parere sulla condizione femminile come scrittrice ma soprattutto come donna è sempre lo stesso. Noi donne dobbiamo continuare a combattere sempre, comunque e dovunque per dimostrare una parità che non è stata ancora raggiunta. Questa lotta costa sacrificio, tensioni, fatica ma sono convinta o almeno spero che alla fine ce la faremo, che non saremo più considerate persone di serie B. Speriamo davvero di farcela e che si arrivi a eliminare questa concezione del ruolo femminile, del resto nell’antichità era la Madre, dispensatrice di vita e fertilità, la figura femminile di riferimento, non il padre.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La randagia: intervista all’autrice Valeria Montaldi
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