Da pochi giorni è in libreria il romanzo La rappresentazione (Mondadori 2021, pp. 406), di Romana Petri, nel quale l’autrice racconta la storia travagliata e appassionante della famiglia lusitana dei Dos Santos, attraverso le vicende di Vasco, diviso tra Roma e Lisbona, la moglie Albertini, la sorella gemella Joana, il gelido padre Tiago e la sfortunata Rita (la primogenita nata deforme).
“Non era nella cucina portoghese che avrebbe rimesso insieme la sua famiglia”.
Romana Petri, nome d’arte di Romana Pezzetta, nata a Roma, critica letteraria, scrittrice e traduttrice dal francese, inglese, spagnolo e portoghese, è anche autrice di radiogrammi per la Rai e collabora con Il Messaggero e La Stampa, vive tra Roma e Lisbona. Tra le sue opere, Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Le serenate del Ciclone (2015, Premio Super Mondello e Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (2017), Pranzi di famiglia (2019, Premio The Bridge), Figlio del lupo (2020, Premio Comisso e premio speciale Anna Maria Ortese-Rapallo) e Cuore di furia (2020).
Traduttrice e critico, collabora con “Io Donna”, “La Stampa”, “il Venerdì di Repubblica” e il “Corriere della Sera”. I suoi romanzi che hanno ricevuto parecchi premi tra il 1990 Premio Mondello Opera Prima e il 2016 il Super Mondello e il Premio Roma sezione Narrativa Italiana, oltre a essere stata finalista del Premio Strega nel 1998 e nel 2013, sono tradotti in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo.
- “La libertà di scelta si smarrisce nel labirinto delle generazioni, e in questo labirinto ogni atto è in sé un asservimento, poiché sgombra il campo da tutte le alternative e ci lega sempre più strettamente alle costrizioni di cui è fatta la nostra vita”. Signora Petri, per quale motivo ha scelto come esergo del romanzo una frase dello scrittore Cormac McCarthy tratta da Città della pianura?
Amo molto questo scrittore del quale ho letto ogni cosa. Mi sembrava la più giusta per una storia come quella che racconto ne La rappresentazione, e cioè la trasformazione di un matrimonio da felice a drammatico. La moglie di Vasco, la pittrice Albertini, viene bandita dalla famiglia portoghese dopo una sua mostra nella quale aveva fatto i ritratti (poco rassicuranti) di ognuno di loro. In principio Vasco la difende, poi, lentamente, viene assimilato da uno strano ritorno in seno alla sua famiglia di origine. Un po’ è lui, un po’ saranno suo padre e la sorella gemella a manipolarlo. Insomma, alla fine il sangue che ci scorre nelle vene e il latte che bevemmo è come se si rimettessero pericolosamente in circolo. E poi Vasco viene anche travolto dall’invidia verso la moglie che diventa una pittrice di successo internazionale, mentre lui, da piccolo gallerista di Lisbona, a Roma si lascia mantenere un po’ dall’odiato padre, Tiago, e un po’ dalla moglie. Ecco, McCarthy proprio questo dice: prima o poi le origini risorgono in noi.
- “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo”, scrive Tolstoj nel celebre incipit di Anna Karenina. La famiglia Dos Santos potrebbe essere definita una “famiglia castrante”?
Molto castrante, certo, una famiglia gelida che soffre di anoressia sentimentale, invidie, taciuti rancori, di cose mai dette. Una famiglia ambigua, con un passato che non si finisce mai di scoprire. Dopo la morte della madre Maria do Ceu, che fino alla fine ha cercato di tenere unito il poco che c’era, tutto si sgretola, anche quel minimo che era stato conservato. Rimane però una famiglia che tiene alla forma, che si accontenta di sporadiche “rappresentazioni”, fatte di pranzi, feste comandate, compleanni… ma sempre nel disagio. Nessuno si conosce realmente, sono e restano vasi incomunicanti (come dice la Albertini). Ne fanno tutti le spese, soprattutto l’indolente, oblomoviano Vasco, sempre segretamente innamorato della bellissima sorella gemella Joana, che in questo caso, sempre alla ricerca di compiacere il padre, farà quello che non può definirsi in altro modo se non: “Il gioco sporco”.
- Vasco sembra dibattersi tra Roma, dove vive con la moglie Lucia Albertini, pittrice, e la città d’origine, Lisbona, dove vi sono le radici. Ce ne vuole parlare?
Vasco si dibatte un po’ su tutto, è un uomo irrisolto. È bellissimo ma algido, poco incline ai sensi. Sembrerebbe chisciottizzato, ma in realtà è un uomo ambizioso senza la forza per riuscire a realizzare i suoi sogni di successo. Va a vivere a Roma dopo lo scandalo della mostra della moglie, ma a Roma passa il tempo a non far nulla se non continuare a covare rancori, rabbie tempestose e alla fine anche tanta invida nei confronti di una moglie geniale.
- Leggendo il romanzo la leggendaria Maria do Ceu, madre di Rita e dei gemelli Joana e Vasco, sembra ancora vivere tra le pagine del libro, anche in contrapposizione al suo ex marito Tiago, uomo non particolarmente simpatico. Che cosa ne pensa?
La rappresentazione
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Maria do Ceu muore solo fisicamente, il suo spirito aleggia sempre sui figli. I suoi sono occhi di madre che ha amato e sofferto molto, che è stata abbandonata da Tiago quando i bambini erano molto piccoli e ha dovuto fare tutto da sola. Continuando però, molto inutilmente, a sperare nel ritorno di quell’uomo. Tiago li ha abbandonati per sfuggire a una famiglia faticosa e poter pensare solo alla sua carriera. Maria do Ceu, aspettandolo, annulla la sua vita dedicandosi solo alla maternità. Soprattutto nei confronti della sfortunata Rita. I gemelli bellissimi, Vasco e Joana, invidieranno sempre Rita, nata deforme, solo per le attenzioni che ha sempre ricevuto dalla madre. E anche da adulti non si emanciperanno. Resteranno stizzosi, ombrosi e recriminanti come da bambini.
- Rita, figlia nata deforme, la sua mostruosità fisica è in contrapposizione con la moralità altalenante degli altri componenti dei Dos Santos?
Rita è la famosa “anima bella” e non ha altro merito se non quello di esistere, come diceva Schiller. E alla fine esiste con facilità, nonostante il calvario che le sia toccato in sorte, come se l’istinto agisse per lei. È un’anima ispirata, i suoi impulsi si adattano perfettamente alla legge morale. Lei, nata deforme, capro espiatorio si immola eroicamente. Da furente che era da bambina si trasforma in una donna brusca ma sempre comprensiva, attenta agli altri, devota agli affetti. Capace di accudire tutti, ma sempre segretamente, come se non volesse nemmeno un briciolo di gratitudine. E fa tutto da sola, non segue nemmeno un percorso psicoterapeutico. Parte dalla sua mostruosità e da quell’immenso dolore arriva a punte di indicibile amore per tutti. Anche per i mai affettuosi fratelli.
- “Era piccola Lisbona, ogni volta che qualcuno in Italia gli chiedeva in quanti giorni si potesse visitare, Vasco rispondeva che ne bastavano tre. E poi apriva e chiudeva la mano destra. Come a dire che stava tutta lì”. Ha vissuto per molti anni in Portogallo, cosa l’affascina di questo Paese e di Lisbona in particolare?
Dovrei ricordarmi di cosa mi affascinava all’inizio, perché poi mi sono quasi sentita una portoghese in tutto e per tutto, e così ne ho visti i pregi e i difetti. Amandoli però entrambi. Sono stata sedotta dalla nostalgia, da una Lisbona sempre lucente ma anche tanto malinconica. Dalle notti che non sono mai buie. E dall’odore dell’Atlantico che arriva sempre all’improvviso. Volti un angolo e ne vieni travolto. Anche adesso, da lontano, quando qualche “intermittenza del cuore” me lo permette, ne vengo travolta ancora.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La rappresentazione: Romana Petri racconta il suo nuovo romanzo in un’intervista
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