La Rivoluzione Francese è uno degli eventi più importanti della storia occidentale: per la sua portata e le sue conseguenze viene considerata ancora oggi come lo spartiacque tra l’età moderna e l’età contemporanea, la vicenda storica che ha posto fine all’Ancien Régime e all’assolutismo e ha spalancato le porte alla democrazia moderna.
Proprio per questo la Rivoluzione Francese è uno degli argomenti che continua ad affascinare e a interessare maggiormente sia gli storici e gli studiosi di scienze sociali, sia gli studenti che scelgono spesso di approfondire questo argomento con tesine e letture specialistiche.
Le indagini storiche su di essa sono iniziate già durante la Rivoluzione stessa e, nel corso degli ultimi due secoli hanno prodotto un coacervo di interpretazioni differenti e spesso molto lontane tra loro, che hanno letto questo evento in modo totalmente differente. Ecco quali sono le principali.
Primi studi critici sulla Rivoluzione Francese
I primi testi, considerato ormai dei classici per lo studio di questo evento, sono Le Riflessioni sulla rivoluzione in Francia di Edmund Burke, le Considerazioni sulla Francia di Joseph de Maistre e le Memorie per servire alla storia del giacobinismo di Augustin Barruel, tutti testi che rifiutano o comunque giudicano negativamente l’evento rivoluzionario, letto come una rottura inutile delle tradizioni storiche, una catena di crimini contro l’ordine naturale voluto da Dio o un complotto illuminista e massonico contro la monarchia e la chiesa.
Più positivi sono i giudici di storici e pensatori liberali conservatori come Benjamin Constant, Madame de Staël, Francois Guizot, Adolphe Thiers, che sviluppano l’interpretazione storiografica che va sotto il nome di "doppia rivoluzione": la Rivoluzione Francese, in altri termini, consterebbe di due fasi ben distinte e profondamente differenti: una prima fase, caratterizzata dalle conquiste liberali del 1789, da ritenere sostanzialmente positiva e una seconda fase, quella del Terrore prodotto dalla deriva giacobina del 1793, di segno opposto, sanguinosa e drammatica.
Allo stesso filone può essere ricondotto anche Alexis de Tocqueville che, nel suo L’Antico regime e la Rivoluzione interpreta la Rivoluzione Francese come una rivoluzione liberale dove il protagonista principale dei grandi eventi rivoluzionari è la borghesia.
L’interpretazione classica della Rivoluzione Francese
Già con la Storia della Rivoluzione dello storico repubblicano Jules Michelet si affaccia, nella storiografia della Francia rivoluzionaria, una nuova chiave di lettura che vede come protagonisti “la folla” e il “popolo”, la stessa che, poi, sarà utilizzata da Hippolyte Taine, Alphonse Aulard e Jean Jaurès. Quest’ultimo, in particolare, nella sua Storia socialista della Rivoluzione francese, analizza la rivoluzione francese "dal basso", ne indaga a fondo i fattori economico-sociali e individua nel protagonismo dei ceti popolari il fattore chiave che aveva portato alla vittoria della borghesia. Jaurès, inserendosi nel corposo filone delle interpretazioni di stampo marxista, interpretò la Rivoluzione Francese come una rivoluzione figlia non della miseria ma della prosperità, che avrebbe portato all’affermazione del capitalismo.
Nella stessa linea si inserisce anche Albert Mathiez convinto che le conquiste della Rivoluzione furono salvate dalla dittatura giacobina, capace di saldare gli interessi della borghesia, dei ceti medi produttivi e dei sanculotti.
Anche George Lefebvre si soffermò sul ruolo del mondo contadino e delle masse popolari nel processo rivoluzionario: ne indagò le condizioni economiche e i meccanismi mentali che portarono alla violenza e ne riconobbe il ruolo primario per l’abbattimento dei privilegi feudali, dando un’interpretazione chiaramente antifeudale e borghese della rivoluzione.
Anche Albert Soboul, come Lefebvre, seguì un’interpretazione marxista: attraverso lo studio approfondito dei sanculotti di cui evidenziò l’autonomia delle lore lotte, che avevano lo scopo di realizzare l’ideale di una società di piccoli borghesi indipendenti, arrivò nella sua opera maggiore, a leggere la Rivoluzione Francese come una rivoluzione borghese-capitalistica a sostegno popolare; come in Lefebvre, quindi, la dittatura giacobina e l’alleanza con le masse popolari, urbane e contadine furono gli strumenti principali per raggiungere una deifinitiva vittoria della rivoluzione borghese sul feudalesimo.
Nella stessa corrente interpretativa può essere ricondotto anche Michel Vovelle che nei suoi studi ha indagato a fondo la storia della mentalità e si è concentrato soprattutto sulle aspirazioni e sulle eredità dalla Rivoluzione francese. Riguardo alle prime, indagate anche attraverso lo studio del substrato culturale della Rivoluzione (la filosofia dell’illuminismo e il Rinascimento), Vovelle rileva che la borghese non coincide con la realizzazione del capitalismo e interpreta la volontà di distruggere l’Ancien Régime (con l’introduzione di un calendario rivoluzionario e il culto della Dea Ragione in opposizione alla religione tradizionale) come un tentativo velleitario e fallimentare di palingenesi della società. Delle seconde Vovelle, animato da una simpatia partigiana verso gli eventi della Rivoluzione, considerata “un’avventura senza eguali”, sottolinea l’importanza e l’attualità, ben visibile nelle festività ancora oggi celebrate in Francia.
L’interpretazione revisionista e le tendenze recenti
Nel corso del XX secolo l’interpretazione marxista è stata anche attaccata da un gruppo di nuovi storici che si sono concentrati non sul portato sociale quanto piuttosto sul significato politico della Rivoluzione Francese e hanno evidenziato gli elementi di continuità con il passato (da qui l’etichetta di "revisionisti"), piuttosto che sulle fratture.
La storiografia revisionista ha le sue origini nel pensiero dello storico liberale Alfred Cobban che sottolineo l’eccessiva eterogeneità della borghesia e arrivò a negare il carattere borghese, capitalista e antifeudale della Rivoluzione. Per Cobban il gruppo sociale che diede le mosse alla Rivoluzione non era la borghesia ma un’elitè degli uomini più potenti, gli industriali che, per la loro incapacità, lasciarono la Francia rimanesse un paese prevalentemente agricolo.
Anche Francois Furet, il maggiore esponente della storiografia revisionista, criticò puntualmente l’interpretazione marxista affermando che
“La storiografia dominante all’epoca in cui ero studente, faceva della Rivoluzione un movimento, quasi esclusivamente sociale, che andava dal rovesciamento dell’aristocrazia all’ avvento di una nuova diseguaglianza di classe. E in fondo la Rivoluzione francese in quanto rivoluzione borghese, era vista quasi soltanto come la premessa di un’altra rivoluzione a venire, destinata ad adempiere le promesse che la Rivoluzione francese non aveva mantenuto”
Furet, quindi, non spiegava la rottura rivoluzionaria ricorrendo allo scontro storico tra forze sociali antagoniste (uno scontro che, come possiamo intuire dalla citazione sopra, avrebbe trovato la sua forma più compiuta solo nel 1917, con l’instaurazione della società comunista in Russia) ma attraverso fattori politici: l’edificio dell’Ancien Régime, frutto di un accentramento politico patologico e degli eccessivi privilegi di cui godevano il clero e l’aristocrazia, era comunque destinato a cadere per lasciare il posto alla democrazia mentre la rivoluzione, lungi dall’essere interpretata come un evento inevitabile, fu la soluzione a cui giunse un’avanguardia di nobili e borghesi influenzati dalle idee dell’Illuminismo.
Negli ultimi decenni altri studiosi (come Daniel Roche, Robert Darnton e Roger Chiartier) si sono concentrati su aspetti della storia sociale come la socialità accademica, la lettura, e l’alfabetizzazione e hanno svolto indagini approfondite sui rapporti tra Lumi e rivoluzione.
Anche la storia culturale, la tendenza storiografica maggioritaria negli ultimi anni ha prodotto apporti fecondi riguardo alla Rivoluzione Francese, fornendo contributi sulla storia delle mentalità, delle rappresentazioni simboliche e del linguaggio. Le realtà sociali e politiche nelle comunità, nei villaggi e nelle città francesi sono state, infine, analizzate da molti studi di storia locale.
La bibliografia fondamentale e i romanzi
Nella sterminata bibliografia relativa alla Rivoluzione Francese, oltre ai volumi degli autori indicati sopra (in particolare Vovelle e Furet) fondamentali, segnaliamo anche i seguenti studi recenti che consentono di acquisire un primo orientamento storiografico:
- Chartier R., Le origini culturali della rivoluzione francese;
- Burstin H., (a cura di), Rivoluzione francese. La forza delle idee e la forza delle cose;
- Bongiovanni B., Guerci L. (a cura di), L’albero della rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese;
- Traverso E., Il secolo armato (limitatamente al cap. 2);
Un modo alternativo per avvicinarsi alle vicende rivoluzionarie è il ricorso alla narrativa e ai romanzi; tra i più recenti e accattivanti:
- Hilary Mantel, La storia segreta della rivoluzione;
- Wu Ming, L’armata dei sonnanbuli;
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La rivoluzione francese: i libri da leggere per studiarla e comprenderla
Naviga per parole chiave
News Scuola Romanzi e saggi storici News Libri Libri da leggere e regalare Storia della letteratura
Lascia il tuo commento