La saponificatrice di Correggio
- Autore: Barbara Bracco
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2018
Cesare Lombroso sarebbe rimasto deluso: Leonarda Cianciulli non aveva niente del criminale per tendenza, nessuna malformazione, nemmeno un atteggiamento torvo, al di là di una certa spavalderia nel rispondere agli interrogatori e di una singolare disinvoltura in pubblico, anche nella gabbia degli imputati in Assise, a Reggio Emilia, nel giugno 1946. È stata protagonista di uno dei casi più famosi della storia giudiziaria in Italia. Era la “La saponificatrice di Correggio”, come ricorda il titolo del saggio storico dedicatole da Barbara Bracco, docente di storia contemporanea nell’Università di Milano-Bicocca, pubblicato da il Mulino in una delle sue collane tascabili (maggio 2018, 136 pagine: 14 euro).
Per il cronista del “Nuovo Corriere della sera” che la descriveva ai lettori nel resoconto della prima udienza del processo, la Cianciulli non presentava caratteri degenerativi, all’infuori di un viso irregolare, segnato da larghe chiazze rossastre. Niente di abietto, eppure quella donnetta di un metro e 50 per 50 chili era accusata, col figlio maggiore Giuseppe Pansardi, di triplice omicidio, rapina e distruzione di cadavere.
Lei quei delitti li aveva commessi effettivamente, circuendo donne attempate di Correggio, paesino del Reggiano, dove viveva dal 1930, dopo il terremoto del Vulture. Aveva dei precedenti, per furto, a soli 18 anni e minaccia a mano armata di pugnale. Soprattutto, era devastata da diciassette gravidanze: tre aborti spontanei e dieci neonati morti in tenerissima età, solo quattro figli cresciuti, tre maschi e la femminuccia più piccola. L’avevano segnata pesantemente, generando un insano terrore che il destino contrario o un male oscuro le potesse portare via anche i superstiti, in particolare Giuseppe, il preferito.
Con bugie e affabulazioni, Leonarda aveva conquistato la fiducia delle tre vittime. Ad una settantenne ancora a caccia di affetti, aveva assicurato di averle trovato un marito a Pola. Una seconda era stata raggirata dalla prospettiva di un lavoro come maestra in un collegio femminile. Alla terza, già soprano di un certo successo in passato, aveva fatto balenare il miraggio di un impiego presso un impresario teatrale, a Firenze.
Da tutte si era fatta consegnare liquidità e gioielli, prima di ucciderle in casa sua, tra il 1939 e il 1941, stordendole con il laudano, un calmante, strangolandole e finendole a colpi di scure. Aveva poi abilmente dissanguato e smembrato i cadaveri, tentando di ricavare sapone dai resti, con la bollitura nella soda caustica. Ma il procedimento non era ben riuscito ed era stata costretta a smaltire gli scarti nel pozzo nero.
In mente sua, fantasticava di ricavare saponette dalle tre malcapitate ed anche prelibati pasticcini, ottenuti mescolando il sangue a prodotti dolciari. Diceva di averli consumati lei stessa e di averli offerti alle vicine, che avevano apprezzato il gusto eccellente di quei dolci. Farneticazioni.
Vedendo quella donna risoluta ma minuta, inquirenti e Forze dell’ordine avevano dubitato che avesse potuto agire da sola, pur avendo verificato la sua conoscenza delle tecniche per disarticolare un corpo inerte (“Come si fa con i polli”).
Una vicenda nera nell’Italia fascista, anzi una favola nera, come la chiama la prof.ssa Bracco, per i suoi aspetti di efferatezza popolare di provincia. Era anche una storia di emigrazione interna. Leonarda era nata in Irpinia, nel 1894, il marito era lucano, impiegato del Registro a Lauria. Si erano trasferiti coi figli, scegliendo Correggio, dove la Cianciulli però aveva tutto per venire segnata al dito dai nuovi compaesani. In quel piccolo centro reggiano era una diversa. Le origini meridionali la rendevano affabile, comunicativa, eccentrica rispetto agli standard riservati, chiusi, dei residenti. Aveva fama di commerciante, riuscendo a compravendere con successo abiti e mobili in zona.
A proposito di questa “diversità”, l’autrice parla di uno stigma sociale che aveva segnato la donna, esponendola alle chiacchiere di paese e soprattutto alle lettere anonime, dopo la scomparsa delle tre “amiche”.
Non le mancava un’innata teatralità, ereditata dalle radici meridionali, tanto più che si dedicava alla lettura delle carte. Per propinare le interpretazioni occorre tanta fantasia e una certa faccia tosta, dissimulata da una gestualità accentuata, che serve a mascherare l’improntitudine.
Tra prove materiali rinvenute in loco e confessione della rea, che si preoccupava di discolpare il figlio, si arriva al processo per i due, nel dopoguerra. Un luminare della psichiatria, il prof. Filippo Saporito, propendeva per la totale infermità di mente, ma bastarono due ore di camera di consiglio alla Corte per riconoscere solo la seminfermità, con la condanna a trent’anni di reclusione più non meno di tre anni di ricovero in casa di cura. Assolto Giuseppe, per insufficienza di prove.
Nel 1948, la Cassazione (allora il processo penale non prevedeva l’Assise d’Appello, come secondo grado di giudizio) confermò la condanna alla Cianciulli, ma riformò la formula dubitativa per il figlio, concedendogli la piena discolpa.
Leonarda finì dietro le sbarre, in manicomio criminale (Aversa e Pozzuoli) e vi morì di morte naturale, nel 1970, 24 anni dopo, a 77 anni.
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