La sposa birmana - Journal
- Autore: Gyaw Ma Ma Lay
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: O Barra O Edizioni
“… si era innamorata di un uomo che calpestava un magnifico tappeto inglese con le scarpe ai piedi …” (Pag. 92)
Nel 1939, a Moulmeingyun, una città del sud della Birmania, la vita procedeva con i caldi ritmi di quell’assolta terra. Si era alla vigilia della seconda guerra mondiale, ma in una città della provincia certi rumors erano distanti e poco importanti.
Più rumore invece scaturiva dal movimento politico indipendentista dei Thakin; parola birmana il cui significato è ‘padrone’, non casualmente lo stesso nome con cui gli indiani chiamavano gli inglesi, gli occupanti della Birmania.
Questa è l’ambientazione scelta dalla scrittrice Journal-Gyaw Ma Ma Lay nel romanzo La sposa birmana (O barra O edizioni, 2009).
Gli inglesi erano presenti in tutte le città e gestivano i traffici commerciali.
I birmani aiutavano e collaboravano con i colonialisti.
A Moulmeingyun si attendeva l’arrivo di un inglese chiamato a gestire la sede di un’importante azienda di legnami europea.
Nella casa di fronte all’abitazione in cui doveva risiedere il nuovo arrivato, la curiosità era palpabile; vi abitavano un commerciante birmano, in affari con la compagnia inglese, e la giovane figlia Wai Wai. Bella, intelligente, indipendente, una volta partita la madre – diventata monaca buddhista – abbandonò la scuola per dedicarsi alla cura dell’anziano padre e aiutarlo nella gestione dell’azienda di famiglia.
L’attesa aumentava, alimentata dall’arrivo dei trasportatori con pezzi di mobilio pregiato e mai visti, tutti di rigorosamente gusto occidentale.
L’apparizione di U Saw Han però sorprese tutti. È un uomo maturo, affascinante, elegante, di gran gusto, ma non era un europeo bensì un birmano. Integrato e plasmato a immagine e somiglianza di un europeo, era un inglese nel corpo di un asiatico.
Già dalla prima visita nella casa di Wai Wai, il colpo di fulmine fra i due fu istantaneo e l’amore fu reciproco.
Dopo una breve relazione nascosta, Wai Wai accetterà di sposarlo, nonostante i dubbi, non per mancanza di amore, ma per la paura di abbandonare il sostegno al padre.
U Saw Han ama Wai Wai in un modo impressionante ed è profondamente caduto in una radicale devozione. È disposto a tutto, fino a porre, non solo virtualmente, la giovane ragazza su un piedistallo per essere sottoposta alla sua adorazione.
A casa tutto era stabilito dal marito, un perfezionismo e un’organizzazione ossessiva e la sua attività quotidiana è descritta con una caricatura assurda:
“… doveva compiere ogni mattino piccoli servizi per il marito: caricargli l’orologio, riempire il portasigarette e metterlo nella tasca dei pantaloni, riempire la penna stilografica e infilarla nel taschino della giacca …” (Pag. 110)
La traduzione inglese del titolo La sposa birmana è Not Out of Hate, non per odio… infatti, a distruggere Wai Wai è l’abbondante immaturo amore.
La sposa birmana è il primo romanzo del paese a essere tradotto nel mondo.
Il suo successo è dovuto alla raffigurazione di un luogo esotico e dalle tante le chiavi interpretative proposte al lettore.
Si parte dall’incontro di culture. Nonostante U Saw Han fosse birmano, è totalmente integrato come un londinese:
“[…] a contatto con gli europei si era occidentalizzato al punto che ormai non aveva più niente in comune con i birmani. […] «Sembra proprio un inglese!»” (Pag. 49)
Invece Wai Wai è una dolce ragazza, affettuosa e interamente birmana. Ama la famiglia al punto di sacrificare il proprio futuro per stare vicino al padre. Il loro comportamento è orgogliosamente tradizionale. Come tutti prendono il cibo con le mani, non bevono alcool e la casa è arredata con stuoie.
U Saw Han usava le posate, aveva l’abitudine di bere, e la casa è piena di poltrone.
Non era solo un’esteriore diversità: erano due culture palesemente opposte, che si affrontavano e si confrontavano. Il padre sospettava le future difficoltà ma non vietò il matrimonio:
«… è un uomo onesto, un’ottima persona per lei; e ha una bella posizione. Certo, il suo modo di vivere è diverso dal nostro, e questo mi preoccupa per il loro futuro …» (Pag. 89)
Metaforicamente Wai Wai è la vittima predestinata della colonizzazione, non solo economica, ma culturale.
Ma Ma Lay affronta la profonda differenza nel parallelo fra medicina tradizionale e quella importata dall’occidente.
Il marito della scrittrice morì per un attacco al cuore e lei attribuì le colpe del decesso alle cure occidentali. Durante la guerra la figlia si ammalò di rachitismo. Ma MaLay decise di studiare le terapie del proprio paese, continuando per tutta la vita e scrivendo trattati sull’efficacia delle diete.
La passione è replicata nel libro, esaltando il valore della tradizione.
Sull’argomento terapeutico il confronto fra i due sposi ha un esito fatale.
U Saw Han è un ossessivo ipocondriaco: è spaventato dalle malattie, usa la massima igiene e si tiene lontano da contatti fisici non graditi.
Wai Wai è una ragazza ingenua, semplice e curiosa. Ha un’ammirazione profonda per gli inglesi. Quando si ammala accetta, esitando, di essere seguita da dottori e medicine occidentali, nonostante fosse propensa a tentare cure alternative.
Il motivo: il marito era profondamente contrario.
Il confronto medico si trasformerà in una disfatta.
L’esposizione culturale è la più evidente fra le ipotesi del libro ed è primaria anche la parte psicologica e personale.
U Saw Han si atteggia e scimmiotta di essere una persona differente. È un sottomesso colonizzato e sogna di essere un colonizzatore progressista.
Il suo problema è non saper amare. Adora Wai Wai come la Birmania: in modo immaturo e inadeguato. Vorrebbe cambiare Wai Wai, vorrebbe che fosse ciò che non è, vorrebbe fagocitare ogni suo desiderio e passione di vivere, vorrebbe annientare la sua personalità imponendogli il suo volere.
U Saw Han ama la Birmania alla stessa maniera, la vorrebbe diversa, vorrebbe cancellare le abitudini e riti centenari, vorrebbe che fosse una copia non originale dell’Europa.
Ucciderà la moglie e patria:
“ … lui non si era nemmeno reso conto di farla soffrire! … burattino gelosamente conservato in una scatola di lacca …” (Pag. 150)
Ma Ma Lay è all’avanguardia rispetto ai tempi: il 1955.
L’autrice è una fervente combattente femminista. Le donne hanno sempre avuto un’influenza nella società birmana. Ancor oggi la principale alternativa politica ai militari è una donna: Aung San Suu Kyi.
Nel romanzo il rapporto fra i due protagonisti è falsato perché Wai Wai è femmina e deve accettare incondizionatamente le decisioni del marito. Lei non ha la forza di ribellarsi apertamente, non gli spetta questo compito.
Ma quando il marito le nega il permesso di visitare il padre in punto di morte, Wai Wai lo fronteggerà con coraggio, assumendosi le responsabilità della propria scelta con una disubbidienza passiva.
Il libro si trasforma in un’esaltazione della posizione delle donne nella società birmana:
“[…] riflettere sulla condizione delle donne: non c’era niente nella vita che pendesse a loro favore, che le mettesse al riparo dell’infelicità! Avrebbe preferito non essere nata femmina.”(Pag. 191)
La vera femminista è la madre di Wai Wai, perché è una ribelle capace di affrontare a viso aperto gli uomini.
Appena sposata accetterà il ruolo di moglie e di madre.
Le incombenze famigliari limitano il suo sogno di realizzarsi e la sua dedizione è rivolta maggiormente verso il buddhismo.
Perciò insorge sfidando il marito domandandogli il permesso di diventare una monaca buddhista e di trasferirsi per sempre in un tempio di Sagaing.
Lei è una donna indipendente e decide da sola secondo il suo desiderio.
Arriviamo all’altra chiave del libro: ll buddhismo, intrinseco nella società del tempo e nell’attuale Myanmar: nessuno può prescindere dal buddhismo. Nonostante la libertà di religione e l’espansione del cristianesimo e islamismo, il buddhismo è la fede comune.
Il tempio è il luogo non solo di preghiera, ma di vita, di contatto, di socializzazione.
Il tempio non è un posto per solitari, si va con tutta la famiglia, in gruppo con gli amici, con la fidanzata. Si parla, si dorme, si mangia il cibo portato da casa nei padiglioni.
Non è una visita breve, il tempo di una messa come ci comporteremmo in una chiesa. Nella pagoda si passa un giorno intero, dedicandosi agli affetti più cari, alla socializzazione e ovviamente alla preghiera, al dialogo con i monaci.
Il buddhismo è la vita dei birmani.
La madre è l’esempio di comunicazione, di interazione del pensiero buddhista con il mondo esteriore. Insegna i concetti mantenendo una corrispondenza con la figlia.
Il libro mantiene un linguaggio e una struttura lineare.
La letteratura si basa tutto sull’emozione, sui dialoghi e sulle lettere della madre.
Wai Wai è la Birmania, quella positiva, quella che ama la sua patria incondizionatamente. I moti politici sono necessari perché testimoniano la speranza di un cambiamento.
Il fallimento è per U Saw Han: lui vuole essere inglese ma non riesce a liberarsi dalla sua genesi, che rimane immutabile.
U Saw Han, in uno dei rari momenti di lucidità, riesce pure a capirlo:
«Io ti amo più di qualsiasi cosa al mondo, ma tu non sei capace di restituirmi tutto questo amore, vero?» (Pag. 123)
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