La strage dei congiuntivi
- Autore: Massimo Roscia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
“Soverchiante indicativo che soppianta il congiuntivo schiacciandolo sotto le sue forme grezze ed elementari. Maledetto vecchio che ancora dopo tanti anni non sa distinguere il modo della realtà da quello della possibilità, del dubbio, dell’incertezza. Vorrei acciuffarlo per il bavero e … urlare che il congiuntivo non è un’inutile o aristocratica complicazione da eliminare; il congiuntivo serve per esprimersi meglio, per comunicare correttamente il significato di una frase, farsi comprendere da coloro che ci ascoltano…”
Ecco lo stralcio d’un brano tratto da “La strage dei congiuntivi”, romanzo con alcuni tratti noir ma in cui le vicende e i personaggi, frutto della fantasia scaturita dall’abile penna di Massimo Roscia, sono usati “ad hoc” per denunciare il decadimento della conoscenza della lingua italiana, l’uso improprio e scorretto che se ne fa sia a livello scritto che orale.
Le vicende partono dall’assassinio di Gross Donkey (dall’inglese: asino, somaro, zuccone colossale), assessore alla cultura d’una cittadina italiana di cui, però, non si conosce il nome, che, nel suo ultimo discorso, farcito da un’infinità di sgrammaticature, annuncia tanti cambiamenti a lungo commentati.
“ - Si ci deve attrezzarsi.
Si ci deve organizzarsi.
Si ci deve impegnarsi -
(E’ incredibile, lo sanno anche gli alunni di terza elementare. Quando nella forma del “si” impersonale, orfana di soggetto grammaticale, si usa un verbo che ha già un pronome riflessivo, per evitare di ripetere il “si”, si fa ricorso al “ci”. E l’ordine è sempre lo stesso “ci si… ci si… ci si…)”
Quanti errori nel suo interloquire ma, più di tutto, l’intento di chiudere la biblioteca, perché, in questi tempi di crisi, altre opere pubbliche, secondo lui vanno curate. Ma come? Lui, proprio l’assessore alla cultura, chiude il luogo in cui essa è ancora custodita?
Da qui hanno inizio le vicissitudini di cinque personaggi, uomini non socialmente di spicco ma cultori dell’ars grammatica e della nostra bella lingua che affonda le proprie radici nel latino e nel greco. Tutto parte da Dionisio Trace, al secolo Renato di Scitio, purista dell’idioma arcaico, collezionista di antiche lettere, di manoscritti, ellenista, medievalista, stilnovista, infinitamente ricco di specializzazioni e titoli. Questi trova sul suo cammino altri cultori della lingua: tra essi Cratete di Mallo, al secolo Eric Vermillon, figlio d’un professore e sofferente, oltre che per la mancanza di cultura di tanti, anche per la sua “doppia personalità”, scaturitasi in seguito al terribile choc dell’assassinio di entrambi i genitori cui lui aveva assistito ancor bambino. E’ poi la volta di Partenio di Nicea, al secolo Liang Zitian, bibliotecario ora perdente posto, di Eutichio Proclo, poliziotto più conosciuto con il nome di William Popgun e di Asclepiade di Mirlea, al secolo Maurice Bonnet, laureato in biochimica e in lettere classiche nonché esperto di profumi. Questi cinque personaggi si ergono a paladini della lingua italiana, nulla accettano, nulla perdonano. In questo romanzo, a tratti surreale, ci saranno più vittime, tutte colpevoli d’aver maltrattato il nostro idioma.
Una storia, come già detto, frutto di fantasia, ma magistralmente scritta e unita a tanto humour. E’ reale, purtroppo, anche ai tempi odierni, l’uso improprio e scorretto dell’italiano nelle sue forme e declinazioni. Massimo Roscia ha scritto un libro di non poco valore; è una storia dalla trama accattivante, dal contenuto che è frutto di studi, esperienza, conoscenza e, proprio per questo, si fa leggere con piacere e tutto d’un fiato.
A commento finale, come dalla quarta di copertina, ecco una citazione di John L. Hazelwood, PhD, Professor and Chair, Department of Linguistics, Western University, San Francisco, California:
“Ho conosciuto Massimo Roscia nel 2010 a New York… Ho subito sospettato che non fosse normale. Sei mesi fa ho letto la bozza di questo suo ultimo romanzo e ne ho avuto la conferma. Massimo non è affatto normale e ciò, per la letteratura italiana, è un gran bene.”
La strage dei congiuntivi
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