La terra del sacerdote
- Autore: Paolo Piccirillo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2013
Un romanzo dal forte impatto emotivo, dalle scene crude ma intense è “La terra del sacerdote”, secondo libro di Paolo Piccirillo, autore ancor giovanissimo ma già reduce da un’apprezzata prima pubblicazione dal titolo “ Zoo col semaforo”. Il romanzo è entrato a far parte della “dozzina” del Premio Strega 2014 per molti motivi tra cui la forza e l’intensità delle vicende.
La narrazione non segue l’esatta cronologia dei fatti anzi passa dal passato al presente e viceversa in maniera veloce ma efficace. E’ questa una scelta di Piccirillo stesso che in una citazione tratta da “Grey’s anatomy” così presenta il libro ai lettori:
“Nasciamo , viviamo, moriamo ma a volte non necessariamente in quest’ordine”.
Il romanzo si apre con due scene intense ma distanti l’una dall’altra per tempo e luogo. Nella prima è descritto lo stupro di una donna tedesca ad opera di tre uomini nella Germania del dopoguerra, della crescita economica e delle opportunità lavorative. La seconda, di certo più degradante e ancor più straziante, è l’immagine di una ragazza ormai al termine della gravidanza: la giovane, di provenienza ucraina, viene tenuta prigioniera in una casa di campagna del Molise e chiusa nella stia insieme ad oche e altri animali. La ragazza riesce a fuggire, ma durante la corsa verso la libertà viene colta dalle doglie e partorisce un bambino che muore appena nato. La donna abbandona il neonato sotto un albero, non curandosi neppure di stringerlo, di sentire se emette un vagito. Fugge da un destino crudele che l’ha costretta, poiché immigrata clandestinamente, a obbedire alle “leggi” di padroni che l’hanno resa “prostituta al contrario” ovvero forzata a procreare in seguito soltanto ai necessari rapporti. Sarà libera, secondo i patti cui lei non vuol soggiacere, dopo la nascita del quarto figlio, ma quello per lei è solo il secondo.
Le giovani mamme di cui narra la vicenda e i loro bambini sono vittime di un traffico ignominioso: quello delle adozioni illegali e, soprattutto, dell’uso dei piccoli per il prelievo e poi il trapianto d’organi. L’albero sotto cui la ragazza abbandona il neonato senza vita fa parte della “terra del sacerdote”, un luogo arido in cui nulla riesce a crescere, in cui i semi non attecchiscono. L’opera trabocca di metafore, di simbolismi, di parole non dette ma, proprio per l’intensità dei vissuti, ancora più nitide. Il terreno è arido: forse rassomiglia al suo padrone, Agapito, un uomo burbero e solitario, avvezzo alle amarezze della vita. La sua storia va indietro nel tempo: molti anni prima egli, insieme ad alcuni amici, era emigrato in Germania ma, a differenza degli altri che là avevano cercato lavoro, lui si fa prete. Non è una vocazione serena la sua, così come non lo è il suo apostolato. Agapito ritrova gli amici, ora non più onesti, e condivide alcune fra le loro azioni infamanti: accetta poi di non parlare, di non render noti alcuni gravissimi misfatti commessi in particolare dal compagno Mariano a cui propone un baratto: in cambio del suo silenzio, Mariano cederà ad Agapito un terreno che possiede in Italia. Il prete si vende un po’ come Giuda ma, ormai lontano dalla Chiesa, dice che se non è riuscito a coltivare anime, almeno proverà con la terra. Il patto è concluso e Agapito ritorna in Molise dove, ormai spretato, sposa Amalia, una donna che gli vuol bene ma che non gli può dare figli. Passano gli anni, Amalia si ammala, Agapito invecchia fino a che, un giorno, l’ex prete s’imbatte in Floris, la fuggitiva ucraina. A questo punto malvagità e tentativi di redenzione si mescolano: Agapito inizialmente soccorre la giovane ma, poi, approfitta della situazione e mette disposizione dei malavitosi la sua masseria affinché Floris possa avere un altro figlio ed egli da tutto ciò ricavi guadagno. Ma, da qui, cambia qualcosa: la presenza di Floris, fanciulla indifesa di fronte a un mondo che “usa” il suo corpo, è la scintilla che dà il via ai cambiamenti. Agapito fa qualche gesto di gentilezza che non sfugge però all’anziana Amalia che sa di aver poco tempo da vivere e che prova, al vedere la donna incinta, il ricordo del doloroso senso d’incapacità, d’incompiutezza che hanno le donne che desiderano figli ma non riescono a procreare. Eppure qualcosa rinasce: perfino la terra comincia a dar frutti. Da qui in poi una serie di eventi ancora dolorosi ma alla ricerca di un cambiamento, di una riparazione.
Il romanzo è comunque crudo e il Molise descritto da Piccirillo appare una terra povera di frutti e di sentimenti. Tra malvagità, colpa e redenzione la lotta è forte. Il Male pare assoluto ma, a tratti, prevale il Bene anche se solo in piccoli barlumi. Piccirillo si dimostra un autore maturo, sensibile, con capacità e talento. Il suo lessico ricco e i piani linguistici che passano dall’italiano ad un poco comprensibile dialetto molisano e ad alcune frasi in tedesco rendono la lettura ancor più coinvolgente poiché catturano l’attenzione di chi legge. Le parti descrittive e narrative sono alla pari di un autore già maturo. “La terra del sacerdote” risulta quindi un romanzo forte ma di valore.
La terra del sacerdote
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