La tregua
- Autore: Primo Levi
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
“La tregua” riporta i racconti di Primo Levi dal 27 gennaio 1945 giorno in cui i russi invasero i campi di Auschwitz fino al rimpatrio dei prigionieri. L’esilio di Primo Levi era durato venti mesi, con il suo convoglio erano partiti in seicentocinquanta ne tornarono a casa solo tre. E’ un libro che commuove e incute riflessione.
Dopo la narrazione dei fatti avvenuti nel campo di concentramento ove era detenuto in “Se questo è un uomo”, Primo Levi in questo libro seguita nel suo racconto. La tregua è in buona sostanza la lunga attesa, il periodo che li separò dall’essere detti liberi a quando lo furono davvero.
I tedeschi avevano abbandonato il campo in tutta fretta all’arrivo dei russi, i primi soldati dell’Armata rossa arrivarono al campo il 27 gennaio del 1945, erano quattro giovani soldati a cavallo, le loro facce inorridite davanti allo scenario della morte proiettata innanzi ai loro occhi con cadaveri disseminati ovunque, baracche distrutte, e i pochi vivi oppressi e spenti dagli affanni. Molti non avevano resistito agli stenti: il freddo, la fame le malattie li avevano annientati. Nei giorni seguenti tutti i vivi a gruppi furono trasferiti dal campo della Buna di Monowitz al lager centrale di Auschwitz, nelle intenzioni il campo era un’infermeria ma di fatto non c’erano né infermieri né medicinali. Molti non superarono quei giorni di malattia, lo stesso Primo Levi ammalato e abbandonato in un letto, credette di non farcela. Fu lì che conobbe storie di donne e dei loro figli, di bambini se ne vedevano pochi in giro: erano i primi a morire nelle camere a gas.
Dopo quegli anni di dura prigionia la libertà significava una cosa sola: poter tornare finalmente a casa, ma le dure prove non erano ancora finite. Uscito dall’infermeria si imbatté nel primo block che lo accolse non sapendo che proprio l’indomani tutti gli occupanti sarebbero stati trasferiti in un viaggio incerto e difficile. La meta era Cracovia dove si stava facendo convergere i vari prigionieri, ma un cambio d’ordine li diresse invece a Katowice. Condivise il viaggio con personaggi come il Greco, Cesare, Leonardo, con alcuni non si separò che alla fine stringendo forti amicizie mentre unitamente superavano altri ostacoli
“altre prove, altre fatiche, altre fami, altri geli, altre paure.”
Il treno avanzava a fatica, spesso facevano lunghissime soste ove dovevano rimediare alla fame e al freddo, in qualche occasione si decideva di proseguire autonomamente; in questi frangenti visse peripezie con i compagni in cui barattare qualsiasi cosa nei mercati di fortuna dei vari villaggi che attraversavano, era fondamentale per la sopravvivenza. Katowice era stato un piccolo lager tedesco, ora organizzato alla meglio dai russi per accogliere i superstiti, lì Primo Levi trovò occupazione in infermeria. L’8 maggio del 1945 la guerra finì, si scatenò l’entusiasmo collettivo, c’era la festa preparata dai russi, c’era commozione, genuina felicità finalmente riaffiorata nei loro cuori, era l’inizio di un graduale ritorno alla vita. Cominciò il rimpatrio ma al sesto giorno la marcia verso sud si arrestò per cambio ordine, e la rotta seguì invece verso il villaggio di Staryje Doroghi. Li trascorsero altri due mesi, giorni di ozio, in cui era fitta la nostalgia e il desiderio di rivedere i propri cari.
A metà settembre venne finalmente il giorno della partenza, cominciò l’odissea del ritorno in patria che durò trentacinque giorni di viaggio tra i quali non mancarono momenti di forte difficoltà. Il 19 ottobre Primo Levi arrivò a Torino e poté riabbracciare i suoi familiari. A lungo continuò a camminare con lo sguardo fisso al suolo come per cercarvi cibo, e fino alla fine lo visitò il sogno spaventoso che lo riconduceva in quei luoghi, ove parte del suo essere continuò a rimanervi prigioniero.
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