La vita dentro ovvero elogio del punto e virgola
- Autore: Claudio Grisancich
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Esiste una differenza fondamentale tra un diario e una biografia: il primo è una scrittura privata che difficilmente supera la destinazione dello scrivente stesso; resta uno sfogo, un consuntivo della propria esistenza. Anche ciò può riservare sorprese e costituire interesse per altri, tanti o pochi che siano, quando le riflessioni si allargano dalla sfera privata e contemplano una visione del mondo collettiva, epocale e oltre. Diverso è il caso della biografia: questa si situa immediatamente e sempre nella dimensione generale dell’umano, si erge come paradigma, risuona nella mente di chiunque vi si accosti attraverso tematiche, enigmi, sentimenti contenuti nei fatti narrati, direi di tipo "filogenetico", tanto per rubare un termine alla scienza, che riguardano l’umanità intera nel tempo e nello spazio, non solamente una generazione. Insomma, diventano letteratura o filosofia, sociologia, studio antropologico... visione inalterabile di un "sempre" pacificante. La vita è così perché è così. Tautologia che non è rassegnazione ma saggezza.
Tutto questo preludio per introdurre un libro smilzo ma densissimo, altamente poetico pur se scritto in prosa, composto da 30 quadri collegati l’un l’altro da un personaggio fantomatico, "l’uomo che ascolta i sospiri", incontrato solo nel primo quadro, ma implicito in ogni riga del testo; l’universale uomo affabulatore; racconta una vita e tutte le vite incluse in essa, dall’infanzia alla vecchiaia, per trovare un senso. Quest’uomo "non sosta, né si volge; prosegue sempre, compone nel suo cuore la santità della nostra vita ordinaria".
Il libro è La vita dentro ovvero elogio del punto e virgola (Ibiskos Editrice Risolo, 2015, pp. 63) di Claudio Grisancich, poeta, scrittore e drammaturgo triestino di ottima fattura, con prefazione di Marina Silvestri, postazione di Walter Chiereghin, illustrazioni all’interno di Francesca Zucca. Un piccolo gioiello. Ci interroga sul nostro essere qui. A volte i quadri-capitoli sono costituiti da un solo verso, il titolo di una canzone d’epoca o addirittura da una parola, per esempio La fisarmonica, simbolo di ogni suono, di quel "dolce rumore della vita" amato da Sandro Penna. La fisarmonica, vista, incontrata nel capitolo seguente, è umile strumento popolare ma "bella come una bestia esotica", compagnia nelle osterie e felicità delle piazze, ricordo dell’ "età d’oro", l’infanzia.
È una vita contenente due guerre, la Prima guerra mondiale, carneficina di 9 milioni di persone, spesso tranciate con la baionetta, spesso ragazzi di primo pelo. E la Seconda... con le attese infinite dei padri mandati al massacro — anche quello dell’autore — e madri rimaste sole in città ad attenderli, in tal caso a Trieste, "città-straccio tirata da tutte le parti, lacerata", eroiche nel fare la fila di ore davanti a un bar per bere un bicchiere di latte.
Questa è la follia perpetua che l’uomo non riesce a evitare.
Contrapposti, abbiamo momenti di totale bellezza, anch’essi condivisibili da ciascuno, l’apice della felicità non più ripetibile, per cui la vita merita di essere vissuta. Per l’autore è ricordare di essere stati al cinema con mamma e papà, in tre vicini, come in un rito di chiesa, il ragazzino partecipe di uno stato estatico, eterno, di grazia:
"Là era stato veramente felice; seduto tra suo padre e sua madre, vedersi frammezzo a loro; felice al colmo di una felicità quasi insopportabile, da dolergli piacevolmente il petto. Sentì di voler piangere, singhiozzare forte".
È un "amarcord" felliniano, memoria che forma la coscienza.
Il bambino Grisancich spiava il mondo nella soffitta in cui abitava da un abbaino, a volte tenuto su dalle braccia forti della madre, finché lei lo reggeva. Da lì il futuro poeta scopriva il mare meraviglioso in lontananza, da lì giungevano i rumori carichi di promesse... ma quale sarebbe stato l’avvenire? Il lavoro, l’arte, la donna più amata scomparsa prematuramente, una figlia, il padre anziano quasi cieco che, nelle ultime pagine, scruta dalla finestra i movimenti della via e nutre i passeri... padre e figlio accomunati, entrambi aggrappati a un riquadro salvifico.
Perché si vive? Vivere è contemplare? È attendere? Che sarà mai questo futuro agognato? Il testo pone domande di sapore leopardiano (A Silvia); scaturiscono da una prosa limpida, sintetica, che non teme il sentimento e non decade in sbavature né in eccessi, fluida come una canzone, di un equilibrio perfetto.
Un capitolo, o quadro, il numero 29, dato dalla parola Il sottomarino, annuncia il numero 30, conclusivo. Il 30 è un testo "short" di una pagina, alla maniera degli ultimi racconti di Borges, di un lirismo da brivido: il bambino sogna di rifugiarsi in fondo al mare con i suoi giochi e libri preferiti. Ne riemerge dopo decenni. Il mondo è mutato e non è quello sognato. Non resta che ritornare nel fondo:
"E, improvvisamente, sentirsi un povero bambino col cuore gonfio di nostalgia".
Sentiamo ancora echi leopardiani, ritorno al tempo non tempo eterno delle grandi illusioni.
La vita è sogno? Sì, risponde Calderón de la Barca. La vita è letteratura? Sì, risponde Oscar Wilde, che alla compagnia di tante persone preferiva i personaggi della Commedia umana di Honoré de Balzac.
Possediamo tutti un sottomarino-rifugio; e la nostalgia è "topos" della psiche, indelebile.
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