La vita di chi resta
- Autore: Matteo B. Bianchi
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2023
Secondo gli ultimi dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 800.000 persone nel mondo ogni anno si tolgono la vita: in pratica una ogni 40 secondi.
Il suicidio ancora oggi è un vero e proprio tabù, un fenomeno di cui in Italia si parla poco e male, gravato da un profondo e indelebile stigma sociale.
Un argomento delicatissimo che andrebbe affrontato come tema prioritario di salute pubblica, cercando di agire in termini di divulgazione, di sensibilizzazione e di educazione, rivolgendosi non solo a chi lavora in ambito sanitario ma a tutta la popolazione.
Le statistiche e gli studi in merito, affrontano il suicidio solitamente da un punto di vista sociologico ed epidemiologico, si concentrano esclusivamente su chi commette l’atto, sui fattori di rischio suicidario, sulla nomenclatura dei fenomeni che orbitano nel variegato mondo delle condotte suicidarie. Soltanto 38 Paesi al mondo hanno attivato programmi di prevenzione per il suicidio.
E nessuno si occupa di chi rimane, dei cosiddetti survivors (sopravvissuti). Non esiste alcun protocollo scientifico specifico per aiutare queste persone.
L’intensissimo libro di Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta (Mondadori, 2023), è dedicato proprio a loro, a chi diventa il dolore che lo abita, a chi precipita in uno stato confusionale di sofferenza, disperazione, senso di colpa, rabbia, spaesamento, rimorso e incredulità.
Uno struggimento che frammenta, che spezza, così come destruente è la crisi di autostima del suicida che, nel pesante confronto con la figura del proprio “Io ideale”, precipita in uno stato di dolore mentale talmente terebrante da andare a configurare un vero e proprio dramma nella psiche del soggetto in crisi che trova nell’ideazione suicidaria prima (e in piccola percentuale) nell’attuazione poi, la migliore opzione per risolvere un patimento interiore divenuto intollerabile.
Lo scrittore Matteo B. Bianchi, che ha esperito direttamente il suicidio del proprio ex compagno, a distanza di oltre vent’anni dalla tragedia prova a ricomporre con grande coraggio e lucidità le tessere di un mosaico di cui finalmente ora sembra aver trovato una visione d’insieme. Le fornisce al lettore in maniera sincopata, con una serie di rimandi, citazioni, riflessioni sul tema, quesiti a cui tenta di dare risposta, parlando di vita, di morte, di inquietudine, ma anche della genesi di un amore e di momenti di gioia condivisa, accompagnando il lettore con grande delicatezza a piccoli passi sul terreno paludoso del “dopo”.
Dopo lo shock, dopo l’annichilimento, dopo la frustrazione, dopo l’anestetizzazione del dolore, dopo l’immunità alla paura, dopo lo sfregio che inghiotte in un buco nero, dopo l’arroganza della sofferenza pura.
C’è un prima e c’è un dopo il dolore. Io ero un’altra persona prima. Mi rimarrà sempre il dubbio se il vero me stesso fosse il ragazzo incosciente di allora o l’adulto contorto che ne è seguito.
L’autore ci fa saltare da un capitolo all’altro, tutti brevi e senza titolo, come su sassi di un torrente in piena. Attenzione a non cadere, la penna incide e tuona potente l’eco di un tormento che si è sporto oltre l’abisso del tollerabile, rendendo la separazione interminabile, assuefacendosi alla mancanza perpetrando l’evocazione della sua persona, fino a quando un giorno, nonostante l’ostinazione del dolore, arriva un momento in cui l’unica chiave di svolta è l’autoassoluzione, “dovremo aver pietà di noi e smettere di condannarci”, per tornare a vivere.
Matteo B. Bianchi ci conduce in un labirinto emozionale, scandagliando le infinite sfumature del dolore umano, raccontando i momenti più delicati della vicenda e del proprio percorso personale (dalla scoperta del decesso avvenuto per impiccagione all’interno di quella che era stata la loro casa al giorno del funerale, dal ritornare a vivere in quella abitazione al rientro al lavoro cercando una normalizzazione del quotidiano), illustrando i propri tentativi per affrontare un lutto così improvviso e sconvolgente.
Tra le pagine conosceremo un vero e proprio microcosmo di persone che hanno orbitato intorno all’autore: amici, colleghi, parenti, familiari della vittima, una pranoterapeuta, una sensitiva, altri survivors e anche la speciale figura del Prof. Maurizio Pompili, psichiatra tra i più grandi esperti italiani di suicidologia.
Il concedersi di andare avanti passa anche e, soprattutto, attraverso il dialogo, attraverso l’ascolto di chi ha già vissuto un’esperienza simile.
Il libro di Bianchi non ha fini autoterapeutici, ma diviene uno scritto che vuole porsi al servizio di chi sta affrontando, suo malgrado, un viaggio altrettanto oscuro.
La condivisione è necessaria, lo si deve alle vittime: a chi si è ucciso e a chi è rimasto.
A chi ha pensato di non avere scelta, a chi realmente non ha potuto scegliere.
In La vita di chi resta l’autore si abbandona a una scrittura potentemente vera e diretta, con la tenacia di chi ha deciso, dopo una lunga e meditata metabolizzazione, di dare voce alla propria storia per essere d’aiuto a chi sta attraversando la stessa straziante esperienza; ma anche per accendere una luce di consapevolezza sul tema del suicidio con l’auspicio che si possa giungere a una alfabetizzazione della popolazione e a un programma di prevenzione e riconoscimento dei fattori di rischio suicidari. Ricordandoci che la prevenzione al suicidio è possibile e riguarda tutti noi. Bisogna parlarne.
La vita di chi resta
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