La vita tranquilla
- Autore: Marguerite Duras
- Categoria: Narrativa Italiana
"Disordine, fastidio, caos. Tutto era cominciato una sera di vendemmia, quando Nicolas l’aveva messa incinta. E a poco a poco al disordine era seguito il disordine e tutti avevano lasciato correre".
Eccolo il disordine delle anime, il disordine del sangue, quello che Marguerite Duras ingoia e fa suo, rigettandolo a colpi di parole sulle pagine de "La vita tranquilla". La Noia, signora incontrastata di questo amaro capolavoro della scrittrice francese, permea e culla l’esistenza avvilente e acerba di Françou, la giovane protagonista, la spettatrice - ma anche la tormentatrice - silenziosa di quella vita familiare "tranquilla": una vita familiare che ha le sembianze di una palude inodore, in cui ogni gesto è macchinalmente effettuato a rallentatore, in cui ogni sguardo sembra durare in eterno e ogni assenza è più ingombrante di qualsiasi presenza.
È proprio Françou, la brutta fanciulla remissiva e paziente, a scuotere l’opprimente quiete in cui la famiglia Veyrenattes vegeta da sempre. È lei l’annoiata e malinconica promotrice del delitto che Nicolas, suo fratello, compirà nei confronti di Jérôme, zio colpevole di avere una relazione segreta con sua moglie, Clémence. L’unico sentimento che la distrae a fasi alterne dalla noia esistenziale è l’amore, ma non l’amore malato che prova per Nicolas, piuttosto è l’amore per Tiène a tenerla avvinghiata ad una realtà che Françou dimentica, che a tratti persino ignora, la realtà dei fatti e delle persone che la circondano, dalla quale lei in primis si sente esclusa e rifiutata. È necessario che il mondo non badi a lei, che la dia in custodia a quella pesantezza di vivere che Marguerite Duras ben conosce, esamina ed accomoda tra le righe dei suoi romanzi, sistemandola con cura dietro ogni sillaba, oscura presenza che si annida ai piedi di una virgola o di un punto. La sensazione è sempre la medesima: l’andamento è armonioso, tutto sembra scorrere senza sussulti, fin quando non ci si ferma, fin quando non ci si rende conto che si è immersi nella tempesta e si prende atto che l’apparente calma che investe quelle pagine è frutto del terremoto interiore che riprende a tremare ad ogni respiro.
Al di là di ogni trama, scavalcando ogni sequenza logica e temporale c’è lei, l’assoluta e immensa Marguerite, biograficamente celata in ogni dove, alle spalle di ogni quando e perché. Lei, l’amante della Cina del nord, lei dagli occhi blu e i capelli neri, lei cosparsa di dolore, scrittrice continuamente sulla soglia della morte. Eccola, fragile e ostinata, silente e urlante, "selvaggia e inattesa" come ama definirsi nei ricordi di C’est tout:
"un’intelligenza in fuga da se stessa. / Come evasa. (...)/ Sono la scrittrice selvaggia e inattesa".
È dunque vestendo i panni di Françou che Marguerite fa capolino, emergendo da un nucleo familiare assolutamente chiuso in se stesso, i cui personaggi, murati nei loro stessi sentimenti, invischiati ognuno nei propri dolori e nelle proprie questioni irrisolte, sono nuovamente e saldamente uniti a causa del delitto, una morte che funge da collante e arriva ad alleviare quell’affannoso senso di libertà che, alla fine, nessuno cerca più. A sorpresa un finale salvifico, uno di quei finali che Novella Bellucci non potrebbe altro che definire "inaudito". Ma tuttavia la sola certezza è che:
"resta la Noia. Niente può stupire più della noia (...).Si può vivere di noia".
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