La vite e la vela di Gianlivio Fasciano

La luna è effettivamente bella come tutti dicono o è una mozzarella lattiginosa?
L’interrogativo accompagna Linda, protagonista ed interprete de La vite e la vela (Kairòs, 2014) di Gianlivio Fasciano, mentre la vita la attraversa e la compie.

Linda era solo un po’ storta perché la sua schiena, pizzicata come un’arpa scordata, le si piegava davanti ogni volta che decideva fosse giunto il momento di farla soffrire. E neppure si lamentava mai, nonostante stesse quelle dieci ore al giorno china a pulire le scale.
Aveva un buon lavoro perché puliva in tre condomini tutti i santissimi giorni, con quel profumo che solo lei sapeva dare alle cose. Questo lavoro lo aveva ereditato dalla madre che, negli anni, l’aveva cresciuta onestamente e con il sorriso.

A Linda era stato sempre detto che non c’era niente di meglio nella vita che sapere di non poterla cambiare in nessun modo e che, neppure nulla poteva succedere per cambiarla. Una specie di garanzia di immodificabilità che riguardava la sua vita e quella degli altri, Linda però non ne era mai stata convinta.
La prima volta che aveva pensato che non fosse proprio così è stata mentre dal letto si divertiva ad intercettare la luce del lampione che passava attraverso le tapparelle. Certe volte la vedeva, certe altre no. Così era cresciuta ogni notte decidendo di scegliere se intercettare o meno quel filo di luce. E così, se poteva decidere se farsi bucare o meno dalla luce bianca del lampione, avrebbe anche potuto decidere se farsi bucare dalla vita.
E’ un incidente, un imprevisto, l’occasione che la vita le offre per finalmente decidere.

Sullo sfondo di una Napoli senza confini e una Trieste accogliente come il ventre di una madre, luoghi dell’anima, allo stesso tempo spettatori e protagonisti del romanzo, un’umanità composita e profonda si svela al lettore, facendosi vita vera.

Un autentico viaggio nell’anima: dei personaggi, dei luoghi, di un pezzo di storia contemporanea che si propone in una narrazione lucida e appassionata.
Tutto converge e tutto si compie, come nella rotonda di via Manzoni, un posto assai strano, dove la circolarità assurge a significato della esistenza umana.