Quelle di Lalla Romano erano parole di scavo, capaci di inabissarsi nel profondo della memoria per trarne i tesori sepolti che, una volta ripuliti dalle scorie e dalla muffa dei ricordi, tornavano alla luce con intatto splendore. Fu l’anticipatrice dell’autofiction quando ancora non era di moda, né era considerata un genere letterario a sé stante, distinto dalla narrativa pura.
Scriveva di sé, della sua vita, senza limitazioni né censure giungendo persino a parlare di argomenti considerati scandalosi in un’epoca che osannava la donna-madre, considerandola un’entità inscindibile e univoca. Ne Le parole tra noi leggere, il romanzo vincitore del Premio Strega nel 1969, Lalla Romano narrò un rapporto conflittuale madre-figlio che andava al di là di ogni stereotipo legato alla maternità come principale orizzonte di realizzazione nella vita di una donna. Dopo la pubblicazione del libro il figlio Pietro, ormai adulto, si sentì tradito dalla madre-scrittrice che aveva messo nero su bianco quel loro rapporto intimo, complesso, sfuggente, scomponendo il bambino che era e ponendolo a confronto con l’uomo che era diventato. Le parole tra noi leggere è, però, soprattutto il libro di una madre che si autogiudica, che si mette a processo e lo fa in maniera non scontata, audace, coraggiosa e soprattutto spietata. Lalla Romano nell’Italia degli anni Sessanta, servendosi dell’autofiction, iniziò a sfatare dei preconcetti sulla maternità, che anni dopo avrebbero raggiunto l’apoteosi con il premio Nobel Annie Ernaux che rompe i tabù sull’aborto.
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Nelle pagine de Le parole tra noi leggere Romano trattava i temi della rivolta giovanile, dello scontro generazionale, e soprattutto il tormento di una madre che è legata al proprio figlio da un rapporto conflittuale. Una sorta di autobiografia di una “madre in difetto” che si definiva addirittura mancante di una “certa vocazione materna”. Il titolo “Le parole tra noi leggere” non ha nulla di consolatorio né tradisce alcun riferimento all’infanzia o alle cose “leggere e vaganti”, è tratto da una poesia di Eugenio Montale, Due nel crepuscolo, che recita così:
… le parole
tra noi leggere cadono. Ti guardo
in un molle riverbero. Non so
se ti conosco
Fu il poeta stesso a scrivere una recensione entusiasta del romanzo su Il Corriere della Sera nell’aprile del 1969, definendolo come:
Una nuova conferma dell’arte poetica di un’autrice che non alza mai la voce.
Non alzava mai la voce Lalla Romano, non usava il megafono, ma i lettori la amavano per questo, perché era vera ed era autentica e per la magia della sua prosa, intimamente intrisa di poesia.
Scopriamo la vita e le opere della scrittrice.
Lalla Romano: la vita
In realtà lei voleva fare la pittrice. Graziella Romano, questo il suo vero nome, nacque l’11 novembre 1906 a Demonte, nella provincia piemontese. Dopo la maturità classica si trasferì a Torino per dedicarsi esclusivamente alla pittura.
Il suo maestro era il critico d’arte Lionello Venturi, grazie a lui, dopo la laurea in Lettere con una tesi dedicata ai poeti del Dolce Stilnovo, entrò nella scuola di pittura di Felice Casorati.
Le immagini della sua giovinezza la ritraggono con il viso incorniciato da due lunghe trecce, e lo sguardo sbarazzino che sembra affrontare direttamente il suo interlocutore. Il suo maestro Venturi era solito chiamarla “cardo selvatico”, per sottolinearne il carattere spigoloso e, osservando quelle immagini, non si può non essere trafitti dalla sua espressione pungente.
Lalla iniziò a scrivere racconti per caso, quasi per gioco. Nel 1941 la casa editrice Frassinelli pubblicò il suo primo volume di poesie, dal titolo Fiore; lei, per togliersi un sassolino dalla scarpa lo inviò a Einaudi, che l’aveva rifiutato, con una dedica lapidaria scritta nero su bianco “a chi non ha voluto stampare questo libro”.
Durante la Seconda guerra mondiale tradusse per Einaudi Le trois contes di Gustave Flaubert, commissionatogli da Cesare Pavese. Iniziò così il sodalizio con la casa editrice torinese che sarebbe diventata anche la sua, nel 1951 proprio Einaudi, nella collana I Gettoni diretta da Elio Vittorini, avrebbe dato alle stampe la sua prima opera in prosa: Le metamorfosi, una serie di brevi testi basati sulle descrizioni di sogni. Due anni dopo sarebbe stato il turno di un romanzo, Maria(1953), che le valse il plauso della critica. Nel 1964 pubblica La penombra che abbiamo attraversato, primo romanzo esplicitamente autobiografico in cui ricorda l’infanzia e la morte della madre.
Nella vita di tutti i giorni Lalla Romano era un’insegnante, insegnava storia dell’arte alle scuole medie, mestiere che portò avanti sino alla pensione; la scrittura si affiancava quindi alla vita vera senza mai entrarvi in conflitto. Scrittura che inglobò anche un altro suo grande amore, quello per la pittura, dando vita a dei particolari racconti fotografici che si basavano sull’uso dell’immagine, come Romanzo di figure (1986).
A portarla al successo sul piano internazionale fu il romanzo Le parole tra noi leggere (1969) che le valse il Premio Strega: fu la quarta donna a vincerlo.
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Aveva un carattere schivo e riservato, molto introverso, ma era molto attiva politicamente. Dopo un’iniziale militanza in gioventù nelle file di Giustizia e Libertà, aderì ai “Gruppi in difesa della donna” e militò nel Partito Comunista. Per un periodo ricoprì la carica di consigliera comunale a Milano, poi decise di ritirarsi dalla vita politica, che l’aveva delusa, e dedicarsi esclusivamente alla letteratura.
Nel 1986, dopo la scomparsa del marito Innocenzo Monti, scrisse Nei mari estremi, il suo libro più sofferto, in cui rievocava la loro lunga vita coniugale.
Negli ultimi anni Lalla Romano non cessò di essere una scrittrice prolifica, affiancando alla narrativa varie collaborazioni giornalistiche per quotidiani nazionali come Il giorno e Il Corriere della Sera. Quando la sua vista fu minata dalla cecità la scrittrice iniziò ad utilizzare larghi fogli per non venir meno alla sua occupazione primaria: scrivere, la vocazione di tutta una vita. A custodirne la memoria oggi è il fotografo e giornalista Antonio Ria, compagno degli ultimi quindici anni della sua vita, che lotta affinché la figura di Lalla Romano non sia inghiottita dall’oblio che assale le più grandi scrittrici del nostro Novecento. Insieme a molte altre grande autrici italiane, come Laudomia Bonanni e Livia De Stefani, oggi Romano si trova sotto la punta dell’iceberg della letteratura femminile sommersa. Forse è giunta l’ora di farla uscire dalle acque ghiacciate di quei “mari estremi” e farla leggere, anche nelle scuole, e riscoprire perché la sua è una voce che ha ancora molto da dirci.
Lalla Romano morì a Milano il 26 giugno 2001, nella sua casa di via Brera 17, all’età di novantacinque anni, afflitta da una cecità quasi completa. Lasciò incompiuto un ultimo scritto che recava il titolo di profetico di Diario ultimo; fu pubblicato postumo nel 2006.
Lalla Romano: le opere
I libri di Lalla Romano sono stati pubblicati dalla casa editrice Einaudi, tra le sue opere più belle ricordiamo.
- Le parole tra noi leggere (1969): il libro con cui vinse il Premio Strega nel 1969 e che la portò alla ribalta sulla scena internazionale. In queste pagine il rapporto tormentato e dolente tra una madre e un figlio, mettendo in luce il confronto spietato tra due generazioni che non trovano maniera di rapportarsi senza farsi la guerra a vicenda. Lalla Romano, indiscussa protagonista, analizza senza veli la sua condizione di madre componendo un ritratto controverso, di struggente sincerità.
Le parole tra noi leggere
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- La penombra che abbiamo attraversato (1964): libro di carattere intimistico e autobiografico in cui Lalla Romano ripercorre la propria infanzia nelle valli di Cuneo, dando voce alla sé stessa bambina che spalanca gli occhi sul mondo e impara l’alfabeto dei silenzi delle conversazioni tra gli adulti.
La penombra che abbiamo attraversato
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- Una giovinezza inventata (1971): un’educazione sentimentale al femminile in cui Lalla Romano ripercorre la sua gioventù, narrandone gli amori, i disagi, le angosce, sullo sfondo dei “misteriosi anni venti”.
Una giovinezza inventata
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- Nei mari estremi (1987): narrando gli ultimi mesi di vita del marito, Innocenzo Monti, afflitto da una malattia mortale, Lalla Romano ripercorre la loro lunga vita insieme a partire dal primo incontro nella giovinezza. Un romanzo che è il tentativo di elaborare un lutto privato rendendolo pubblico, esposto allo sguardo in una maniera delicata e tuttavia sfrontata, perché indicibilmente sincera. Un’altissima testimonianza umana.
Nei mari estremi
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Lalla Romano, la scrittrice dalle parole leggere e vere
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