Succede che in Italia esiste da tempo la crisi della democrazia rappresentativa, che le persone si sono disaffezionate alla politica. Succede che i lavoratori sono stressati, affaticati. Accade che l’unica ideologia è quella consumistica e la cosa più organizzata che c’è in questa società è il capitalismo. L’unica cosa che ha un minimo di efficacia per un lavoratore è una rivendicazione salariale, come si diceva un tempo. Ma come cittadino e come consumatore molte cose rimangono lettera morta.
Il capitalismo: il rapporto tra lavoro e realizzazione
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Queste cose le trovate scritte meglio e in modo molto più elaborato ne Il socialismo difficile di André Gorz. Come sosteneva Vittorio Foa i problemi non verrebbero risolti solo con l’espropriazione del capitale e dei mezzi di produzione. A conti fatti ci vorrebbe molto di più o forse di diverso. Non esiste infatti solo l’alienazione marxiana, quella lavorativa, che non permette al lavoratore di partecipare all’intero ciclo produttivo e che lo porta a compiere mansioni sempre più parcellizzate, automatiche, ripetitive. Esiste un’alienazione tra soggetto e oggetto, tra soggetto e soggetto, in parte costante antropologica e in gran parte dovute alla nostra epoca.
Certe cose sono più importanti di chi le produce e certi uomini vengono degradati a cose. Ancora una volta si potrebbe citare Marx e il suo feticismo delle merci. Ma non c’è solo questo, perché lo stesso soggetto è in crisi, non solo il suo rapportarsi con le cose e con gli altri.
Perché ci sia un pieno sviluppo delle proprie capacità e del proprio potenziale le persone dovrebbero avere un lavoro che le autorealizzi e un tempo libero che le soddisfi pienamente. Invece le due cose per motivi diversi non avvengono. Il lavoro difficilmente autorealizza, perché le condizioni lavorative spesso lasciano a desiderare, perché il contenuto del lavoro e i rapporti con i colleghi lasciano a desiderare, perché il mercato e i ritmi lavorativi impongono di correre, perché lo stesso capitalismo che dovrebbe garantire benessere per tutti si basa sulle ingiustizie e anche sullo sfruttamento dei più deboli.
Alla riscoperta del tempo libero: i libri da leggere
Lo stesso sistema è in crisi e laddove ci dovrebbe essere opulenza invece sempre più troviamo scarsità di risorse. Perfino il tempo libero è alienato, ripetitivo, noioso, eterodiretto. È il sistema che decide per te cosa devi fare nel tempo libero. Gusti, preferenze, stili di vita sono sempre più uniformati e omologati. Bisognerebbe perciò leggere o rileggere:
- De otio di Seneca,
- L’elogio dell’ozio di Bertrand Russell,
- L’arte dell’ozio di Hermann Hesse
e poi continuare a ripetere come un mantra "il tempo libero è mio e me lo gestisco io", comportandosi di conseguenza. Troppo efficientismo, il culto del lavoro e del profitto hanno rovinato il gusto della vita.
Il tempo libero è avvelenato anche perché l’uomo contemporaneo deve essere sempre reperibile e poi spesso non stacca mai la spina, continua anche nei momenti di svago a pensare al lavoro. È quella che io chiamo coscienza dislocata: quando fa l’amore pensa al lavoro talvolta e poi talvolta sul lavoro pensa alle sue fantasie erotiche. Accade che siamo assenti, che non sempre la nostra mente pensa al contingente. Riprendendo le parole di Lacan:
"Io sono dove non penso e penso dove non sono".
Il tempo libero comunque viene stabilito a priori dal sistema, vengono stabilite le attività per farci acquistare prodotti e il motivo di tutto ciò è prettamente capitalistico. Ma esiste anche un motivo più intrinseco: organizzando e pianificando il nostro tempo libero progettano e decidono i nostri modi di essere e di pensare in modo da non farci andare fuori dal seminato, da non farci diventare pericolosi per il sistema. La cosa da scongiurare assolutamente per il potere è la rivolta completa, la rivoluzione. Ancora di più: se la rivoluzione è irrealizzabile e pura utopia il sistema fa di tutto per scongiurare che qualcuno crei problemi minimi perché qualsiasi cosa potenzialmente può inceppare l’ingranaggio pantagruelico del capitalismo.
Così accade che con i condizionamenti dei mass media, nonostante le differenze individuali, siamo fatti quasi con lo stampino, pensiamo tutti o quasi allo stesso modo, quantomeno l’ipnosi di massa decide il nostro range d’azione e di pensiero. Il potere dà possibilità di sballo. È l’opportunità di stordimento momentaneo ma allo stesso tempo anche di evasione dalla realtà ordinaria. Se poi le capacità intellettuali vengono compromesse e le sostanze psicotrope slatentizzano problemi psichiatrici vuol dire che quei giovani saranno sempre più sotto scacco.
Le opzioni grossomodo sono due: cittadini modello coscienziosi e innocui oppure disadattati solitari. In ogni modo l’importante per il potere è permettere teoricamente l’associazione tra le persone ma poi renderci tutti atomi anonimi della massa.
Cos’è il potere?
Ma chi è veramente il potere, che io chiamo così genericamente? Il potere non è tanto la classe dirigente politica o i piccoli imprenditori, che fanno naturalmente la loro parte nel sistema. Per potere è da intendersi la tecnostruttura, ovvero l’élite tecnico-finanziaria che governa il mondo. C’è una grande concentrazione di potere e ricchezza. Poche persone decidono le sorti di tutti gli altri. Non pensate che l’élite intellettuale possa passare alla controffensiva perché è troppo inadeguata, confusa, disorganizzata, mentre invece la tecnostruttura è organizzatissima ed efficiente. Ma l’apparente irragionevolezza degli intellettuali, che da tempo ammonivano che la crescita non è infinita e che lo sviluppo non è più sostenibile, è molto più lungimirante della tanto decantata lucidità della tecnostruttura, che sta portando il mondo verso l’abisso.
Il problema non è naturalmente chi ha detto per primo certe cose, cercandone a ogni modo la paternità, ma la questione cruciale è perché certe istanze legittime sull’ambiente e sulle sorti dell’umanità restino inascoltate. Non si può delegare tutto ai posteri, pensando che ci penseranno domani perché domani potrebbe essere già troppo tardi.
Un’altra libertà che il potere lascia ai cittadini è l’orgasmo liberatorio. Ma anche questo deve avvenire con persone i cui canoni sono stabiliti da moda, mass media, industria culturale, pornografia. Siamo liberi di far l’amore, ma il desiderio che è sempre stato mimetico (ovvero basato sull’imitazione) oggi lo è ancora di più.
Per Freud la civiltà era repressione degli impulsi sessuali e per essere civili bisognava sublimare, cioè trasformare l’energia libidica in quella intellettuale.
Per W. Reich invece la repressione sessuale causava nevrosi e allora ci doveva essere la liberazione sessuale. Ma leggendo un breve scritto di Seneca sulla felicità ci rendiamo conto che ricercare a tutti i costi il piacere non rende virtuosi (senza fare i moralisti, nemmeno Seneca lo era) ma neanche felici.
Ora comunque che l’emancipazione è avvenuta possiamo constatare che aveva ragione Marcuse con il suo concetto di desublimazione repressiva: noi non viviamo più a contatto con la natura e l’urbanizzazione ha reso meno erotico il sesso, ma al contempo il potere per non farci fare la rivoluzione ci dà maggiore libertà sessuale in modo tale da non farci sublimare i nostri istinti e renderli intellettuali, perciò pericolosi. Insomma la risultante di queste due forze contrapposte è che nessuno ha la voglia né la capacità di ribellarsi seriamente, tranne qualche volo pindarico in qualche dopocena tra amici.
Forse la più grande libertà sarebbe quella di non uniformarsi, di pensare in proprio, ma a cosa porterebbe? Porterebbe a incomprensioni e solitudine oltre che a tutta una serie di problematiche pratiche annesse e connesse per chi non fa parte del gregge e perciò non viene accettato. Insomma si ha un bel dire a definirsi liberi pensatori. Infatti si è davvero sicuri di essere liberi e poi di essere anche pensatori? Cosa resta allora? Un urlo barbarico alla Whitman? La vita nei boschi, celebrata da Thoreau?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Lavoro, capitalismo e tempo libero: i libri da leggere
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