Anime attardate. La tragedia della Musa
- Autore: Edith Wharton
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2012
Anime attardate e La tragedia della Musa sono due splendidi racconti di fine indagine psicologica dedicata all’amore di Edith Wharton (Passigli editore, pp. 76, 1993), la scrittrice americana che per prima vinse il Premio Pulitzer nel 1921, con il romanzo L’età dell’innocenza, da cui Martin Scorsese in seguito ha tratto l’omonimo film (1993).
I racconti sono tradotti con empatia da Maria Novella Mercuri e riproposti in edicola in un’edizione de Il Sole 24Ore nel 2012 nella collana “Racconti d’Autore”.
È strabiliante come Wharton sappia ritrarre la società alto borghese, tutte le sue meschine convenzioni, con le quali convivere diventa limitante e soffocante. Ma esse divengono paradigma di tutti i rapporti umani dominati dalla necessità di ben apparire, essere valutati non in base a valori etici intramontabili (onestà, giustizia) ma secondo la posizione economico sociale occupata nella scala gerarchica delle classi, e secondo il formalismo della buona educazione.
"[…] Queste persone, autentici prototipi delle persone insopportabili dalle quali tu mi hai portata via, con la stessa limitata visione della vita, la stessa moralità repressiva, le stesse caute piccole virtù e gli stessi piccoli vizi, mi sono aggrappata a loro”
Parla la protagonista di Anime attardate. Si aggrappa per non venire respinta, isolata come se fosse una lebbrosa, in un albergo di lusso situato in un paesino sul Monte Rosa.
In modo particolare i due racconti mostrano l’anelito della donna a essere amata e compresa per sé stessa, non secondo parametri esteriori, se per esempio è sposata, divorziata, libera o “scandalosa” ovvero amante, convivente, come accade nel primo racconto; oppure amata in quanto musa ispiratrice, come nel secondo testo, vale a dire comunque usata, ridotta a strumento.
Sembra che la scrittrice, anche in base alle sue vicende biografiche (allora a fine Ottocento una donna divorziata come lei era un’eccezione, molto malvista e chiacchierata) escluda dall’esistenza di ciascuno la possibilità della libertà necessaria all’espressione della propria Individualità.
Oggi separarsi tra coniugi è una prassi comune, non proibita, ma persistono norme che pongono divieti alle scelte, sempre in agguato, come diversità culturali, razziali, religiose, di censo, di età. L’autrice, Edith Wharton, mostra la pena di vivere nella gabbia del giudizio altrui, di cui si diventa prigionieri.
La sua analisi è attenta, minuziosa, particolareggiata. Un tono di voce, un’occhiata, un sorriso vengono posti al centro dell’attenzione, creano atmosfera. Il dramma si rivela nelle minuzie.
La scrittura è densa, ipersensibile, affascinante, non datata, tuttora modernissima. Indica la via di autonomia, sganciata da ogni perbenismo.
La libertà raggiunta si paga con l’isolamento e la solitudine. Resta tanta amarezza, da superare con coraggio e forza d’animo.
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