Arthur Rimbaud seppe trasformare la parola in alchimia. Nato nella cittadina di Charvalle, nelle Ardenne, il 20 ottobre 1854, lo definirono “il poeta maledetto” perché la sua poesia aveva una forza sovversiva, quasi incendiaria: nelle sue opere il giovane Rimbaud sconfessava la morale, ribaltava regole e canoni, derideva la borghesia, radeva al suolo il mondo intero in un impeto distruttivo per poi rifondarlo.
La sua stessa vita fu specchio riflesso delle sue parole.
Animo irrequieto e vagabondo, Rimbaud visse secondo le sue regole: scrisse la maggior parte delle sue poesie tra i sedici a i diciannove anni, in seguito decise di abbandonare la letteratura per dedicarsi ai viaggi in giro per il mondo. Si stabilì a lungo in Africa, lavorando come commerciante di pellami e spezie. Morì a soli 37 anni a causa di un tumore ormai in stato avanzato che gli aveva causato l’amputazione della gamba destra. Dopo la morte il suo nome divenne leggenda.
L’essenza di Arthur Rimbaud ora è tutta racchiusa nelle sue poesie. Lui era un petit bateau ivre, un piccolo battello ebbro, come recita il testo del suo poema più famoso Le bateau ivre, scritto nel 1871. Insofferente di tutto, sempre furibondo, Rimbaud era come un “piccolo battello ubriaco” che si opponeva alle norme sociali, alla soffocante vita di provincia, a ogni forma di normalizzazione, deciso a fondare una nuova civiltà. E quella civiltà nacque, effettivamente, grazie alla sua poesia che agì con l’irruenza di una rivoluzione.
Per accostarci all’opera di Rimbaud dobbiamo innanzitutto comprendere a fondo una sua celebre affermazione Je est un autre: l’io è un altro.
Il poeta scrisse questa frase in una lettera indirizzata al suo principale corrispondente, Paul Demeny, il 15 maggio 1871. Cosa significa?
È necessario ricondurre le sue parole allo sdoppiamento che avviene attraverso l’attività poetica: non esisto se non nell’elevazione di me stesso. Rimbaud è uomo e Dio; poeta e musa ispiratrice. Il suo “altro” è il suo genio, che lo innalza a una natura superiore per intelligenza e sensibilità. Dobbiamo partire dalla lettera a Demeny per comprendere Le bateau ivre che fu scritto subito dopo e del quale, quella stessa lettera, appare un manifesto programmatico.
Questa premessa è indispensabile per comprendere il significato di Le bateau ivre, tradotto in italiano come Il battello ebbro, il più noto poema di Arthur Rimbaud.
L’autore lo scrisse nel 1871, a soli diciassette anni, e lo spedì al poeta Paul Verlaine che in seguito sarebbe diventato il suo amante.
Fu proprio Verlaine a diffondere il poema di Rimbaud pubblicandolo sulla rivista Lutèce nel 1883. Le bateau ivre fu definito dallo scrittore e critico André Gide “un poema essenziale della storia letteraria”, ma ricevette anche numerose critiche da parte di chi lo riteneva un’opera pretenziosa, incoerente e incomprensibile.
Oggi leggiamo ancora le parole che Rimbaud scrisse a soli diciassette anni con stupore misto a smarrimento. Dal famoso testo sono state tratte anche delle celebri canzoni composte dai cantautori francesi Léo Ferré e Maurice Delage.
Scopriamo ora testo, analisi e significato di Le bateau ivre, il battello ebbro, e come venne a Rimbaud l’ispirazione per scrivere il suo poema più celebre.
Le bateau ivre di Arthur Rimbaud: testo italiano
Mentre discendevo i Fiumi impassibili,
Non mi sentii più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevano bersagliati
Inchiodandoli nudi ai pali variopinti.Ero indifferente a tutto l’equipaggio,
Portavo grano fiammingo o cotone inglese.
Quando coi miei bardotti finirono i clamori,
Mi lasciarono libero di discendere i Fiumi.Nello sciabordio furioso delle maree,
Io l’inverno scorso, più sordo del cervello d’un bambino,
Correvo! E le Penisole andate
Non subirono mai sconquassi più trionfanti.La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero di un sughero ho danzato sui flutti
Che si dicono eterni avvolgitori di vittime,
Dieci notti, senza rimpiangere l’occhio insulso dei fari!Più dolce che per il bimbo la polpa di mele acerbe
L’acqua verde filtrò nel mio scafo d’abete
E dalle macchie di vini azzurri e di vomito
Mi lavò disperdendo l’ancora e il timone.E da allora mi sono immerso nel Poema del Mare,
Intriso d’astri, e lattescente,
Divorando gli azzurri verdi; dove, relitto pallido
E rapito, un pensoso annegato a volte discende;Dove, tingendo a un tratto le azzurrità, deliri
E ritmi lenti sotto il giorno rutilante,
Più forti dell’alcol, più vasti delle nostre lire,
Fermentano gli amari rossori dell’amore!Conosco cieli che esplodono in lampi, e le trombe
E le risacche e le correnti: conosco la sera,
L’Alba che si esalta come uno stormo di colombe!
E a volte ho visto ciò che l’uomo ha creduto di vedere!Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori,
Illuminare lunghi coaguli viola,
Simili ad attori di antichissimi drammi,
I flutti che lontano rotolavano in fremiti di persiane!Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate,
Bacio che lentamente sale agli occhi dei mari,
La circolazione delle linfe inaudite,
E il risveglio giallo e blu dei fosfori canori!Ho seguito, per mesi interi, come mandrie isteriche,
I marosi all’assalto delle scogliere,
Senza pensare che i piedi luminosi delle Marie
Potessero forzare il muso degli affannosi Oceani!Ho urtato, sapete, Floride incredibili
Che mescolavano fiori ad occhi di pantere
Dalla pelle umana! Arcobaleni tesi come redini
Sotto l’orizzonte dei mari, a glauche greggi!Ho visto fermentare paludi enormi, nasse
Dove marcisce fra i giunchi un intero Leviatano!
Crolli d’acqua in mezzo alle bonacce
E lontananze che precipitavano negli abissi!Ghiacciai, soli d’argento, flutti di madreperla, cieli di brace!
Orrendi incagli sul fondo di golfi bruni
Dove serpenti giganti divorati da cimici
Cadono da alberi contorti, dagli oscuri profumi!Avrei voluto mostrare ai bambini quelle orate
Dell’onda azzurra, quei pesci d’oro, quei pesci canori.
Schiume di fiori mi hanno cullato mentre salpavo
E ineffabili venti per un istante mi hanno messo le ali.A volte, martire affaticato dai poli e dalle zone,
Il mare i cui singhiozzi rendevano dolce il mio rullio
Tendeva verso di me i suoi fiori d’ombra dalle gialle ventose
E io restavo lì, come una donna in ginocchio…Quasi un’isola, sballottando sulle mie sponde i litigi
E lo sterco di uccelli schiamazzanti dagli occhi biondi,
E io vogavo, mentre attraverso i miei fragili legami
Gli annegati scendevano a dormire, a ritroso!Ora io, battello perduto sotto i capelli delle anse,
Scagliato dall’uragano nell’aria senza uccelli,
Io di cui né i Monitori né velieri Anseatici
Avrebbero ripescato la carcassa ebbra d’acqua;Io che tremavo udendo gemere a cinquanta leghe
La foia dei Behemot e i densi Maelstrom,
Filatore eterno delle immobilità azzurre,
Io rimpiango l’Europa dagli antichi parapetti;Ho visto arcipelaghi siderali! e isole
I cui cieli deliranti sono aperti al vogatore:
È in queste notti senza fondo che tu dormi e t’esili,
Stuolo di uccelli d’oro, o futuro Vigore?Ma, davvero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti,
Ogni luna è atroce ed ogni sole amaro:
L’acre amore mi ha gonfiato di torpori inebrianti.
Oh che la mia chiglia esploda! Oh che io vada verso il mare!Se io desidero un’acqua d’Europa, è la pozzanghera
Nera e fredda in cui nel crepuscolo profumato
Un bambino inginocchiato e colmo di tristezza, lascia
Un battello leggero come una farfalla di maggio.Io non posso più, onde, bagnato dai vostri languori,
Togliere la scia ai portatori di cotone,
Né fendere l’orgoglio di bandiere e fiamme,
Né nuotare sotto gli occhi orribili dei pontoni.
Le bateau ivre di Arthur Rimbaud: analisi
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Il battello ebbro di Arthur Rimbaud deve essere concepito come la coscienza allargata del poeta. Il bateau è dunque Rimbaud stesso, potente metafora della sua condizione umana.
La lirica ci guida attraverso un viaggio seguendo i movimenti scostanti e insoluti del battello ubriaco. L’imbarcazione è infatti priva di equipaggio, come a rimarcare l’orrore assoluto che Rimbaud nutriva nei confronti di qualsiasi forma di autorità. La corrente in cui il battello-uomo si lascia trasportare è una dimensione fatta di sensazioni, visioni ed esperienze.
Nel suo viaggio onirico e allucinatorio Rimbaud trasporta noi lettori in un itinerario che non conosce coordinate spaziali ma solo diacroniche: dall’infanzia all’adolescenza sino all’età adulta. L’esperienza poetica trascende la realtà per condurre in un tempo ignoto e imprevedibile dove non vige nessuna legge, attraverso questo percorso si compie la purificazione dell’animo.
La poesia assume quasi le funzioni di un rito religioso. Attraverso il viaggio poetico Arthur Rimbaud si purifica, andando verso il mare in un itinerario dall’inedita potenza metaforica che richiama la vita stessa dell’uomo che anela a un aldilà eterno.
Il viaggio del battello ebbro, non a caso, termina con un naufragio liberatore. Bisogna perdersi per ritrovarsi, teorizza Rimbaud nella sua dichiarazione lirica che si fa manifesto della sua stessa produzione poetica.
Nel viaggio del battello dunque poesia e simbolismo si fondono in una metamorfosi costante: il battello attraversa ambientazioni fantastiche dai forti connotati simbolici, la forma poetica diventa un tutt’uno con la visione, sino a terminare in un oceano d’estasi a cui il battello si abbandona al termine del suo viaggio.
Tramite il gioco delle allitterazioni Rimbaud riproduce il movimento ondivago del mare, riesce così a creare una simbiosi perfetta con l’elemento acquatico: il tumulto dell’anima e i flussi marini diventano un tutt’uno, sembrano esprimere l’identico tormento.
Le bateau ivre di Arthur Rimbaud: cosa significa?
Le bateau ivre è una poesia che sembra essere composta della stessa sostanza dell’acqua e attira il lettore in un gorgo irresistibile: il moto costante del mare si fonde con la visione, riproducendo così una realtà altra che appare come parallela alla vita reale. E proprio in questa seconda lettura possiamo ritrovare anche la metafora più efficace dell’espressione poetica.
Il battello ebbro di Rimbaud è un’ode alla libertà dell’essere umano e, in sottotraccia, anche una celebrazione della forza della parola poetica. Ne Le bateau ivre avviene un’assoluta fusione tra poeta e opera, come se esistenza ed essenza fossero un unicuum, una sola entità inscindibile.
Il giovanissimo poeta scrisse il testo Le bateau ivre in risposta a un altro grande poema molto celebre in quegli anni in Francia, Le voyage di Charles Baudelaire . Rimbaud accolse le parole di Baudelaire come una sfida, un invito a superare i suoi stessi limiti: del resto proprio nel testo di Le voyage (1857) il grande poeta francese definiva “l’anima come un veliero”.
L’anima è un veliero che cerca la sua Icaria.
scriveva Baudelaire. Il poeta diciassettenne nella sua immaginazione trasfigurò il grande veliero in un battello, facendone il petit bateau ivre che simboleggiava la sua acerba giovinezza.
Nella sua opera Charles Baudelaire teorizzava la distinzione tra arte e realtà; Arthur Rimbaud invece gli dimostrò che potevano essere un tutt’uno, fondersi in un unico viaggio dalla destinazione ignota. I veri viaggiatori partono per partire e hanno cuori leggeri simili a palloni che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”; così scriveva Charles Baudelaire ne Il viaggio. Forse il poeta de I fiori del male ignorava che c’era un cuore leggero pronto a sollevarsi al suono delle sue parole, un giovane ragazzo che avrebbe risposto all’invito come ad un richiamo, facendo dell’arte una regola di vita, tramutando la poesia in realtà.
Quel ragazzo si chiamava Arthur Rimbaud e di sé stesso diceva:
“Je suis un petit bateau ivre”
sono un piccolo battello ubriaco. Era un’anima persa nella corrente di un fiume che attendeva di volgere verso il mare. E fu la poesia a indicargli la strada.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il battello ebbro: analisi e significato del capolavoro di Arthur Rimbaud
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