Cosa sono le ciaramelle per Giovanni Pascoli? Nella poesia intitolata Le ciaramelle, il poeta narra di sentire “liquefarsi l’anima” al loro suono che lo riconduce ai ricordi soavi d’infanzia. Le ciaramelle hanno, in breve, per Pascoli la stessa funzione delle madeleine proustiane, ovvero una forza evocativa senza eguali, attivano all’istante la memoria involontaria creando un collegamento diretto con il passato. Le “ciaramelle” sono il suono natalizio per eccellenza, la melodia antica e malinconica delle zampogne che sembra salire dalla notte santa come il canto dei pastori in omaggio al bambino divino. Il suono delle ciaramelle crea dunque un collegamento diretto con l’immaginario del fanciullino, tematica chiave della poesia pascoliana.
Il Natale nell’infanzia conserva un’aura inspiegabile di magia e di mistero che Giovanni Pascoli riesce a rendere palpabile in questa suggestiva poesia sonora, Le ciaramelle, che ha il ritmo vivace di una filastrocca in cui sono le rime a scandire il senso del verso, ma, malgrado la sua musicalità, è in realtà una lirica malinconica carica di echi leopardiani.
Le ciaramelle è contenuta nella raccolta I Canti di Castelvecchio (1903) ed è la poesia in cui Pascoli mette in luce la remota lontananza dal “nido”. La prima versione di Le ciaramelle fu pubblicata sulla rivista “La riviera ligure” del marzo 1902.
Giovanni Pascoli la scrisse a Messina nel dicembre 1901, come riporta in una lettera ad Alfredo Caselli:
È intitolata “Le ciaramelle” e ti commuoverà, perché risponde anche al tuo sentimento di rievocazione dolce amara della fanciullezza, innocente, pia, familiare, tenera.
In un’altra lettera Pascoli spiega più nello specifico la melodia delle ciaramelle, definendola come “quel dolce suon d’organo pastorale antico.”
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
“Le ciaramelle” di Giovanni Pascoli: testo
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
“Le ciaramelle” di Giovanni Pascoli: analisi e commento
Il riferimento al Natale è presente sin dai primi versi, in cui Pascoli accosta il suono delle ciaramelle a un immaginario di capanne e di stelle, elementi tipici della natività e del simbolismo del presepio. Il lessico si adegua a una visione infantile, sfruttando una semantica quasi fiabesca, personificando le ciaramelle stesse: “Sono venute dai monti scuri”.
Sembra che questo suono così caratteristico abbia il potere di accendere e di illuminare la via e, di fatto, nel poeta accende il ricordo dell’infanzia: non a caso è paragonato a un “suono di ninne nanne”, rimando anche al sonno del bambino divino cullato dal respiro caldo del bue e dell’asinello.
Il riferimento alle stelle tuttavia è anche un’eco leopardiana: un riflesso di “quelle vaghe stelle dell’Orsa” richiamate ne Le ricordanze che riconducono il poeta ai “dolci sogni” dell’infanzia nel paterno ostello. La poesia Le ciaramelle di Pascoli si nutre dello stesso sentimento del “vago e dell’indefinito” della lirica leopardiana, rievocando attraverso il rintocco di un suono lontano il tempo antico delle fantasie infantili nella Notte Santa.
Le note delle ciaramelle sembrano trasfigurare così il paesaggio circostante in un piccolo presepe, consolando i cuori stanchi della povera gente contadina che fatica nel lavoro quotidiano. Il “dolce suono di chiesa” cui fa riferimento Pascoli è l’Ave Maria che apre la giornata contadina; e da qui si svolge una sorta di regressione, dal suono delle ciaramelle al suono delle campane ed ecco il rapido ricongiungimento con l’infanzia che avviene attraverso l’udito.
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma
Nell’anafora ripetuta aumenta lo struggimento del poeta, la nostalgia si fa palpabile, stringe il cuore in una morsa. Mentre medita sull’infanzia perduta che la dolce melodia per un attimo gli ha palesato dinnanzi, Pascoli attinge a piene mani dalla lirica leopardiana, utilizzando termini mutuati dai Canti di Leopardi, quali “anni primi”; “d’avanti il vero”; “le stelle son là sublimi”.
La memoria dell’infanzia accende nel poeta una nostalgia acuta che gli fa lacrimare gli occhi, di quelle lacrime buone che “consolano e riposano”, come un pianto infantile che infine si placa tra le braccia accoglienti della madre (quel pianto grande che poi riposa, Ndr). Le incombenze faticose dell’età adulta, le pene “più vere”, appaiono lontane udendo il suono delle ciaramelle, che ricordano - scrive Pascoli in una lettera - la voce “mesta e soave della fanciullezza del genere umano”.
Quella pura visione d’infanzia è racchiusa nella magia del Natale, celebrata da un canto di zampogna che sembra riecheggiare eternamente nel firmamento celeste, riflettersi nel luccichio dorato delle stelle e nello splendido bagliore della cometa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Le ciaramelle”: la poesia di Natale di Giovanni Pascoli
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