Le donne di Orolè di Salvatore Niffoi

Una Sardegna brutale, rappresentata ne Le donne di Orolè (Giunti, 2020) da un abile narratore, che crea ambientazioni realistiche dove i sentimenti piuttosto che al cuore parlano alla pancia. Pugni allo stomaco sono infatti non solo i battiti secchi che il sacrestano claudicante bussa alla porta dei coniugi Licanza-Murristile (una razza mala da addomesticare) per portare il messaggio di mastra Lidia Buscioni che prima di morire vuole farsi chiamare mamma.
Pugni allo stomaco sono le vicende legate alla vita di Isoppa Licanza che non aveva imparato a leggere e a scrivere: “La mia penna era il coltello e i miei quaderni i dorsi delle scrofe”. Una vita sottolineata dai colpi delle fucilate da quando era nella culla: morti ammazzati per una terra “pudescia”, sequestri, matrimoni forzati, solo un amore continentale sembra illuminare una vita educata nell’odio e nella vendetta.
Sidora Puntera, la donna protagonista della seconda storia, quasi una discendente di Isoppa pur non essendo vissuta in ambienti pastorali e contadini, di questa ne assimila la crudezza e giunge a consumare una vendetta sanguinaria e spaventosa nei confronti di colui che aveva ucciso per averla.

Il romanzo è scandito in brevi capitoletti per far risaltare di volta in volta i singoli personaggi: cammei che brillano di vita propria nella storia.
Niffoi rappresenta una Sardegna abitata da uomini e donne efferati, che consumano le loro vendette in un clima che niente ha della terra che conosciamo, ma che immagina quasi procreatrice di individui più simili ai protagonisti di fiabe antiche dove l’orrore e la paura la fanno da padroni.
La lingua poi, che del sardo coglie i risvolti più rudi e sguaiati, rievoca atmosfere orrifiche che immergono in un clima grave che pur affascina il lettore.

Ancora una volta un autore sardo vuole rappresentarci un popolo di uomini e donne che si distinguono per i loro sentimenti intensi e per i comportamenti temerari che li fanno assurgere a divinità infernali.