Édouard Manet, Public domain, via Wikimedia Commons
L’ambiente dei caffè dischiude un perfetto osservatorio di analisi sociale. Lo dimostra Guido Gozzano in questa poesia, dal titolo Le golose (1907), che sin dal primo verso dimostra il talento formidabile del poeta per l’espressione folgorante, quasi aforistica, per la sentenza incisiva che dischiude un’infinita pluralità di significati:
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
La perfezione formale di questi versi fa eco a Non amo che le rose che non colsi della celeberrima Cocotte, altro capolavoro gozzaniano contenuto nella raccolta I Colloqui. Nei suoi versi lirici, che richiamano la struttura narrativa di una novella, Gozzano rende tangibili malinconia e sogno, ma soprattutto afferra ed esplicita il mistero ineffabile del desiderio: “non amo che le cose che potevano essere e non sono state”, scrive l’autore in una delle sue sentenze poetiche più incisive e indimenticabili, cui fa eco questo altro amore astratto che si nutre di aspettativa e visione: le signore che mangiano le paste nelle confetterie.
Lo scenario che Gozzano manifesta ne Le golose, pubblicata per la prima volta su La Gazzetta del Popolo nel luglio 1907 , ricorda un capolavoro della pittura Impressionista. Pensiamo agli eleganti caffè parigini ritratti da Manet e Degas che hanno spesso una donna al centro, protagonista assoluta del quadro, come ll bar delle Folies-Bergère o L’assenzio: il più delle volte è una donna sola, colta nella sua vera essenza proprio nell’intimità accogliente del locale, la malinconia del suo sguardo appare in contrasto con lo scenario di sfondo. Anche per gli impressionisti l’ambiente dei caffè rappresentava un osservatorio sociale: tra le cristallerie e le confetture, in un luogo profumato e confezionato su misura per regalare felicità, si poteva cogliere solitudine e tristezza, il sogno o la speranza di una vita diversa. Ce lo dimostra lo sguardo vacuo di Suzon, la protagonista del ll bar delle Folies-Bergère, imprigionata nell’alienazione di un lavoro che è obbligata a fare per mantenersi; e la malinconia in cui sprofonda l’attrice Ellen Andrée, la bevitrice di assenzio ritratta nel quadro di Degas. Ne Le golose, la poesia dedicata alle nobildonne che affollavano i caffè torinesi, Guido Gozzano invece, con la stessa abilità di un pittore dell’assoluto, ritrae attraverso i suoi versi un concetto astratto e ancora più impalpabile della malinconia o della tristezza, ovvero “il desiderio”.
Le donne che mangiano pasticcini nella lirica gozzaniana diventano metafora manifesta dell’eros: in ciascuna di loro, protagonista di un catalogo lirico molto ben ragionato, il poeta coglie con malcelata malizia una fame voluttuosa che va ben oltre l’appetito inteso nel senso proprio del termine.
Vediamone testo, analisi e significato.
“Le golose” di Guido Gozzano: testo
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.L’una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.un’altra - il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall’altra parte!L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e paresugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!Perché non m’è concesso -
o legge inopportuna! -
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
“Le golose” di Guido Gozzano: analisi e significato
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Confetti e chincagliere, lampadari che sono cristalli di luce, profumo avvolgente di crema di vaniglia e aroma di cioccolata, questo lo scenario impalpabile nel quale si muovono Le golose di Guido Gozzano: lo sfondo è intangibile, poiché il poeta non indugia nella descrizione, ma c’è. Il poeta, sin dall’incipit, si concentra esclusivamente sulle sue protagoniste, dunque sulla figura umana: la verità su di loro viene esplicitata nel titolo della lirica che richiama il titolo di un quadro, “Le golose”, appunto. L’autore esplicita subito che ci sta descrivendo un vizio; ma, attenzione, proseguendo nella lettura con sorpresa ci accorgiamo che il poeta sta mescolando, con astuzia, due dei peccati capitali: la gola e la lussuria, entrambi in fondo due parossismi, due visioni estremizzate e senza ritorno del desiderio. Al desiderio delle donne, desiderose di compiere il loro peccato di gola nella sala piena di tentazioni della confetteria torinese, il poeta unisce - senza mai esplicitarlo in maniera volgare - il suo desiderio per loro.
Assistiamo quindi a una scena che, a prima vista, potrebbe apparire come un’osservazione sociologica: l’autore ci descrive usi e abitudini di queste donne che mangiano pasticcini in una confetteria. Ciascuna, va da sé, ha le sue preferenze e propri vizi segreti: con malizia Gozzano osserva che “si tolgono il guanto” e, spogliatesi di questa convenzione sociale, tornano bambine, ovvero lasciano vincere il proprio io interiore, danno voce al desiderio oltre l’inibizione che il loro ruolo impone. In breve, le signore dell’alta società all’interno di una confetteria si sentono libere di abbandonarsi al piacere: è questa la caratteristica che Guido Gozzano coglie nella sua poesia e alla quale vuole dare voce attraverso Le golose. Il motivo per cui lui ama, da uomo, le signore nelle confetterie è proprio perché è l’unico luogo in cui a queste donne è socialmente concesso liberarsi dai freni inibitori.
“Le golose”: Guido Gozzano e l’elogio al desiderio
Gozzano ci descrive le loro abitudini e le loro differenze: ciascuna di loro sceglie e gusta il proprio pasticcino a modo proprio, nessuna è simile all’altra. C’è quella che riflette a lungo dinnanzi alla vetrina, indugiando nella scelta, e l’altra ingorda che non si fa problemi a divorare più dolci possibili. C’è la donna che si vergogna di sporcarsi le mani di crema e l’altra che trangugia senza indugio e, non curandosi di essere osservata, “divora in pace”. Ed è proprio qui che Guido Gozzano, servendosi di Gabriele D’Annunzio - il poeta del Piacere - come scudo compone il suo allusivo elogio a Eros: formulando un gioco linguistico, offerto dall’aggettivo “superliquefatte”, Gozzano ironizza sull’aulicità della parola dannunziana e, al contempo, ci strappa un sorriso servendosi della sensualità insita nella prosa del Vate per manifestare l’espressione di supremo godimento della donna che divora, con lussuria, il suo pasticcino. Il nome del poeta del desiderio viene equiparato dal geniale Gozzano all’estasi della donna, “supremo annunzio”, che compie impenitente il suo peccato di gola.
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.
Gozzano è formidabile nelle sue sentenze poetiche; riesce a esprimere persino l’indicibile senza scadere nella volgarità né risultare indecoroso. Le golose è una poesia sul desiderio e sulla lussuria, una poesia che allude in maniera anche abbastanza esplicita alla sessualità, eppure per tutto il tempo il poeta non ci sta descrivendo nient’altro che delle donne che mangiano pasticcini e, con analogo tono flautato, non smette di ribadire quanto lui ami - in attitudine puramente contemplativa, quasi angelica - le donne che mangiano le paste nelle confetterie. L’incipit della poesia rimanda a un quadro impressionista, alla maniera di Manet: sembra davvero che Gozzano stia ritraendo, in maniera assolutamente innocente, una scena ordinaria di vita quotidiana della buona società torinese. Il talento descrittivo, però, nel poeta che non è un pittore cede il passo alla vertigine della parola che scava nell’inconscio e rivela il vizio, ci mostra l’aspetto più torbido del desiderio attraverso uno specchio a due facce.
Anche nel quadro di Manet, ll bar delle Folies-Bergère (1882), è presente uno specchio che ci permette di vedere le spalle e la schiena di Suzot, la cameriera ritratta in primo piano: mostrandoci le spalle della sua protagonista, Manet di fatto sta dilatando lo spazio del dipinto. Noi in tal modo vediamo ciò che Suzot non può vedere, il lato nascosto (nessuno di noi normalmente può contemplare la propria schiena), e vediamo anche ciò che lei vede ma è celato in primo piano, ovvero i dettagli della sala delle Folies-Bergère e gli avventori presenti quella sera: ci sono tavolini, donne ben vestite e uomini col cilindro.
Anche Guido Gozzano si serve del medesimo effetto specchio: nella seconda parte della poesia passa dal particolare al generale, dopo averci descritto le signore che degustano i pasticcini - così come Manet ci mostra in primo piano il volto malinconico di Suzot - ecco che ci mostra il locale, “gli aromi acuti, le essenze parigine” e pare concentrarsi sull’elegante vestiario delle dame. Pare, con questo effetto specchio, che il poeta - proprio come il pittore dell’Impressionismo - ci stia descrivendo l’esteriorità artefatta, la superficialità fittizia, dopo averci mostrato l’interiorità più vera, ovvero il reale desiderio, il vizio inconfessabile, di quelle donne ben vestite e acconciate.
Il desiderio inconfessabile si manifesta nella legge inopportuna che Gozzano cita negli ultimi versi, facendo riferimento stavolta a sé stesso: con eleganza il poeta dice che vorrebbe “baciare” le signore mentre gustano i loro pasticcini, a questo punto ormai il vincolo sotteso tra gola e lussuria, i due peccati capitali, è esplicito e saldato.
Dopo aver allargato il campo inquadrando l’ambiente e il vivace via vai del locale, il poeta torna a ripetere anaforicamente la ripresa iniziale, che a questo punto è tutto fuorché innocente perché ormai ci ha rivelato l’entità scabrosa del suo desiderio per le signore nel caffé. Ma su tutto continua a dominare un’atmosfera rarefatta, un’aroma di vaniglia, sciroppi e velluti, la fragilità impalpabile delle cristallerie.
Il vizio alberga anche nei cuori più nobili, eccola la morale intrinseca nei versi di Gozzano che chiude elegamente con la ripresa innocente della strofa incipitaria.
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Le golose” di Guido Gozzano: una metafora dell’eros in poesia
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