Le guerre di Libia. Un secolo di conquiste e rivoluzioni
- Autore: Gastone Breccia e Stefano Marcuzzi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2021
In un secolo, più anni di guerra che di stabilità in Libia, dal 1911 al 2011: si legge nel saggio di Gastone Breccia e Stefano Marcuzzi Le guerre di Libia. Un secolo di conquiste e rivoluzioni, edito da il Mulino (Bologna, ottobre 2021, collana Le vie della civiltà, 458 pagine).
Guerre di ogni tipo: di conquista e di repressione, civili e intertribali, guerre combattute con tattiche e armi convenzionali e più spesso guerre irregolari. Dalla spedizione coloniale italiana nell’ottobre 1911 sulla “quarta sponda”, è stata teatro di una serie di conflitti. Tacitati in parte sotto la monarchia senussita (1951-1969) e sedati del tutto sotto il regime di Gheddafi (1969-2011), sono riesplosi dopo la rivolta favorita dall’intervento militare occidentale, rivolto nel marzo 2011 a rovesciare la dittatura del Rais.
Alla caduta di Gheddafi, l’implosione della Jamahiriya libica ha scatenato ripetute esplosioni di violenza, alimentate da coalizioni di milizie locali e dai loro patron esteri, oltre al moltiplicarsi di gruppi jihadisti e organizzazioni criminali dedite al traffico di armi, stupefacenti ed esseri umani.
Sta di fatto che solo un intervento armato dell’Occidente potrebbe stabilizzare il territorio libico: è il paradosso messo in luce dal docente di storia Gastone Breccia e dall’esperto di relazioni internazionali Stefano Marcuzzi. Soltanto un coinvolgimento dell’ONU o dell’Europa, anche con il ricorso all’opzione militare, potrebbe mettere fine alle ostilità tra Cirenaica e Tripolitania, garantire la stabilità del Paese e rappresentare un passo concreto a favore del popolo libico.
Finora non è stato attuato, perché alla dottrina della “responsabilità di proteggere”, affermata con le operazioni del 2011, non ha fatto seguito una “responsabilità del ricostruire”, del tutto disattesa dall’Occidente, secondo Breccia e Marcuzzi. L’azione estera è interdetta dalle divisioni tra gli attori (a cominciare da Francia e Italia) e dalla vistosa incapacità di coordinare tessuto diplomatico, missione politica e uso controllato della forza militare, cui si aggiunge una certa timidezza per le prevedibili accuse di neo imperialismo.
La Libia attuale è la dimostrazione che difficilmente la diplomazia produce risultati senza la volontà e capacità di muovere un braccio armato. Sempre più libici, pur sostenitori inizialmente dell’intervento NATO, accusano le potenze occidentali di avere abbandonato il Paese al proprio destino, dopo averlo destabilizzato. Denuncia solo parzialmente fondata, avendo sempre rifiutato gli stessi libici una forza internazionale di pacificazione, ma ci si dovrà misurare con questa visione consolidata. “Da alcuni anni, è senza precedenti il livello di odio che si avverte nei confronti degli occidentali, soprattutto degli europei”, visti come degli ipocriti, intervenuti in nome dei diritti umani e poi spariti.
Certo, non è un territorio omogeneo. Centoquaranta tribù, spesso in lotta tra loro: ecco una chiave per provare a comprendere la Libia o cercare di dominarla, come fecero i Romani e come ha tentato di fare il Regno d’Italia. La cultura tribale tende a costituire reti di patronaggio con soggetti esterni, per acquisire privilegi a danno di altre tribù. Se questo ha messo uno strumento di stabilità nelle mani di chi volesse inserirsi negli affari libici, al tempo stesso ha rappresentato un fatale elemento di divisione e instabilità.
Gli Italiani sfruttarono questo puzzle quando dovettero confrontarsi con la resistenza araba, dopo la guerra contro l’impero ottomano. Lo fecero in maniera cinica, ma non sempre efficace, favorendo alcuni capi fedeli a danno di altri. E si trattò di un’arma a doppio taglio, perché l’ostilità intertribale generava malcontento proprio nei confronti del potere forte che avrebbe dovuto garantire la sicurezza collettiva. Ne traevano vantaggio i ribelli più irriducibili.
La stessa logica tribale, basata su rapporti di forza, favoritismi e legami personali, ha finora impedito alla Libia di darsi istituzioni capaci di rappresentare i suoi cittadini. Nemmeno il pugno di ferro di un dittatore l’ha neutralizzata, finendo addirittura per esacerbarla ed estenderla a tutti i livelli della società.
A rovesciare il regime sono stati i libici esclusi dalla rete di risorse, idrocarburi, prebende e privilegi politici creata da Gheddafi. Da allora, altri aspiranti leader politici e militari hanno tentato di costruire strutture di potere ispirate alla stessa logica, favorendo per contraltare alleanze opportunistiche tra le comunità e i gruppi armati esclusi, che hanno perpetuato l’instabilità politica e la frammentazione identitaria.
Sarebbe bastato “leggere libri di storia” per prevenire tanti fattori dell’ultima crisi. Lo si apprende nel rapporto finale di uno studio sulla crisi libica, finanziato dall’Unione Europea e datato maggio 2017.
La Libia non riesce a esorcizzare tre spettri del suo passato: la frammentazione politica, l’ingerenza straniera e la tendenza all’autoritarismo, percepito come unica soluzione ai primi due problemi. I prossimi anni saranno decisivi: se non saprà liberarsene, resterà una terra di dolore, in cui tutto si muove ma nulla cambia e che sembra lottare ostinatamente contro se stesso, come l’ha descritta una delle maggiori esperte italiane in materia, Michela Mercuri.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le guerre di Libia. Un secolo di conquiste e rivoluzioni
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