Le menzogne della notte
- Autore: Gesualdo Bufalino
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
Nel romanzo di Gesualdo Bufalino "Le menzogne della notte" (Milano, Bompiani, 1988; vincitore del premio Strega nello stesso anno) alcuni condannati alla ghigliottina, che hanno attentato alla vita del re, sono rinchiusi nella cupa prigione di un’isola penitenziaria e aspettano, al mattino seguente, l’esecuzione.
L’ambientazione storica manca di espliciti riferimenti anche se da alcuni indizi intertestuali si ritiene che la vicenda si svolga al tempo del Regno delle due Sicilie, nel periodo risorgimentale. L’anziano e colto barone Ingafù, il poeta avventuriero Saglimbene, il soldato Agesilao e lo studente Narciso si sono incontrati per caso durante la loro vita ed essi, minuziosamente identificati, si fanno interpreti della propria esistenza attraverso il racconto. A seguito d’una proposta mefistotelica, chi li istiga a raccontare, è frate Cirillo, nei panni di un bandito: “un brigante sanguinario e devoto”, chiamato così per “burla”, e non per motivi religiosi; anch’egli è condannato, ma in verità nasconde la reale identità di direttore del carcere detto Sparafucile. Suo scopo è quello di strappare ai congiurati il nome del “Padreterno”, cioè del nemico della Corona. In fondo, si tratta di un astuto espediente dello scrittore allo scopo di dilazionare la morte in un contesto da “Mille e una notte” e analogicamente accostabile sul piano strutturale alla cornice del "Decamerone" di Boccaccio.
Ecco lo snodarsi di quattro splendide storie attraversate da pensieri filosofici sulla vita: raccontano amori giovanili che alludono alla concezione platonica, duelli e stupri, tradimenti e omicidi, il tedio leopardiano e l’ignavia visti in contrapposizione agli ideali. In ciascuna confessione si parla del Padreterno di cui però non è resa nota l’identità, mentre viene posto in risalto come l’incontro dei congiurati con costui fosse avvenuto per fatti occasionali e non propriamente per motivi patriottici. Dicerie le loro per reinventarsi la vita, nonché per vincere l’estremo disagio dovuto alla morte incombente. Avevano riconosciuto in Frate Cirillo il direttore del penitenziario? Costui riesce comunque a carpire la confessione voluta: il fratello del re è tutt’uno col Padreterno. Intanto, dalle inchieste effettuate risultano false le storie narrate e a rimanere sono soltanto interrogativi esistenziali sulla consistenza della realtà. Nel momento del suicidio per lo scacco subito, Frate Cirillo si chiede:
“Che io mi sia tutto sognato Che stia ancora sognando? Come se avessi nel pugno il cordone di un grande sipario di pezza, sento il cuore battermi in gola, gremirsi d’una furiosa, irragionevole felicità … O se nell’occulto d’un sovrumano alfabeto l’Omega di tenebre in cui precipito fosse l’Alfa d’una eterna luce? Lo saprò fra un istante e nel medesimo istante non saprò più di saperlo. Quando stretto fra le gambe il fucile … udrò come un grido di Dio il fragore dello sparo nel silenzio dell’universo”.
Un sorso di speranza religiosa? Forse consiste qui il fascino inquietante della scrittura di Bufalino: nel porre attenzione all’uomo, al senso inafferrabile della vita entro il labile confine tra bugia e verità, nonché al racconto che ha come referente un universo offeso, indecifrabile, contraddittorio. Alla fine sembra che, a vincere la morte nel fluire dell’esistenza, l’unica certezza venga affidata alla letteratura. Raffinata, aulica, musicale la scrittura che immette il lettore nell’atmosfera dell’epoca, nonché in un clima di suspense che caratterizza il ritmo narrativo.
Le menzogne della notte
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