Le mosche del capitale
- Autore: Paolo Volponi
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2010
Se intendete la lettura soltanto come piacere e distrazione, lasciate stare “Le mosche del capitale”. Sì, perché questo romanzo ha un taglio ostico e impegnato, con quel tanto di stile impervio da renderne la lettura abbastanza faticosa, arrancante, forzata. Il libro, un po’ romanzo un po’ saggio, si avvale anche della “prosopopea”: far parlare in alcuni punti cose e animali in una sorta di partecipazione corale alla narrazione. Il rischio, per il lettore, di perdere il filo c’è.
Bruto Saraccini, protagonista ed alter ego dello stesso Paolo Volponi (1924-1994), è direttore del personale della MFM, azienda modello situata nella città di Bovino, luogo di fantasia e nulla a che vedere con l’omonimo paesino della provincia di Foggia. In realtà, il riferimento è a Torino. Saraccini, per le sue indubbie capacità manageriali e doti umane, meriterebbe di diventare amministratore delegato dell’azienda, ma gli viene preferito un altro: l’ingegner Sommersi Cocchi. Saraccini è un uomo sensibile, fuori luogo lì, non c’entra nulla con quel mondo cinico, distaccato, autoreferenziale, e dunque si vede costretto ad andarsene per passare in un’altra grande azienda, alla corte di Donna Fulgenzia e del dottor Astolfi: anche qui, tuttavia, si scontrerà con le logiche aziendaliste della grande impresa, prevalenti su tutto, inconciliabili con le idee più aperturiste da lui sostenute, anche nei confronti dei lavoratori.
Saraccini tornerà poi sui suoi passi, arrendendosi agli interessi del profitto e della finanza.
Capitale, efficienza e profitto sono i muri di fronte ai quali ci si può rompere la testa, contro cui si può anche soccombere come per esempio accade a Tecraso, un operaio ribelle, anagramma - pensa la coincidenza - di Socrate.
La trama si dipana fra richiami autobiografici e racconto allegorico: come chiarì a suo tempo lo scrittore, dietro i personaggi e i luoghi del libro ci sono, oltre a sé stesso, la Torino anni Settanta, la Olivetti, la FIAT di Gianni e Umberto Agnelli. È una storia tra il politico e il surreale, un po’ anche angosciante. Tra le righe si intuiscono le posizioni ideologiche dell’autore, con accenni polemici nei confronti della logica capitalistica. Non dimentichiamo che Paolo Volponi, oltre ad essere stato un ex dirigente di Olivetti e FIAT, è stato anche senatore del Partito Comunista.
Vincitore due volte dello Strega, Volponi fa parte di quel ristretto gruppo di intellettuali che ha conosciuto il mondo della grande azienda, sapendone evidenziare gli aspetti critici e le storture meno appariscenti e meno conosciute, riversando in una narrativa di impegno e denuncia sociale la propria esperienza di lavoro.
Paolo Volponi ha rappresentato la figura dello scrittore che scuote l’indolente, egoistico e sedato spirito borghese, incoraggiandolo a riflettere sulle contraddizioni sociali e del mondo del lavoro.
Con “Le mosche del capitale” non si ride, non si sogna, né ci si emoziona: insomma, è un libro esigente, non si scivola sulle sue pagine, semmai ci si arrampica. Si impara tanto però, perché propone e reinterpreta un frammento della nostra Storia, da un punto di vista diverso, riflettendo sulle politiche aziendali e produttive perseguite. Apre alla riflessione, hai voglia a riflettere! E alla fine, che ti sia piaciuto o no (magari hai gettato la spugna anche prima), questo libro non lo dimentichi più. Potenza della grande letteratura.
Le mosche del capitale
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