Le otto montagne
- Autore: Paolo Cognetti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2016
“Le otto montagne” (Einaudi, 2016) è il nuovo romanzo, già venduto alla Buchmesse in 25 paesi, di Paolo Cognetti, autore nato a Milano nel 1978.
“Il paese di Grana si trovava nella diramazione di una di quelle valli, ignorata da chi passava di lì come una possibilità irrilevante, chiusa in alto da creste grigio ferro e in basso da una rupe che ne ostacolava l’accesso”.
Pietro e i suoi genitori vivevano a Milano, in un palazzo affacciato su un ampio viale trafficato, dove il papà faceva il chimico in “una fabbrica di diecimila operai” mentre la mamma lavorava come assistente sanitaria in un quartiere delle case popolari. Entrambi erano emigrati in città verso i trent’anni, lasciando il Veneto contadino dove la donna era nata, il marito era cresciuto da orfano di guerra. Le loro prime montagne, il primo amore erano state le Dolomiti.
“Erano i posti dove si erano innamorati”
fu un prete a portarceli da ragazzi e fu lo stesso prete a sposarli, ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, davanti alla chiesetta che c’è lì, una mattina d’autunno del 1972. Al padre “era sempre stato un solitario” e alla madre, il cielo milanese
“bianco uniforme, indifferente alle stagioni, solcato solo dal volo degli uccelli”
non poteva soddisfare il loro continuo vagheggiare i panorami alpestri, anche se in rari giorni di vento, in fondo ai viali di Milano comparivano le montagne. D’estate la valle alle pendici del Monte Rosa
“un mondo artico, un inverno che incombeva sui pascoli estivi”
era diventata il loro eden. Mio padre “se ne innamorò a prima vista”. Ogni anno con la famiglia “ci spostavamo”: Macugnaga, Alagna, Gressoney soggiornando in una stanza a pensione o in un bungalow in campeggio per due settimane. Il papà appena giunto si trasfigurava indossando la camicia a scacchi, i pantaloni di velluto, il maglione di lana. L’uomo nei suoi vecchi panni diventava un’altra persona. L’esperto montanaro trascorreva l’intera giornata in giro per i sentieri tornando impolverato e bruciato dal sole ma felice. La moglie aveva paura dei ghiacciai amando invece i paesini con le case di legno e pietra posti sui duemila metri. Nel luglio del 1984, la famiglia era arrivata nel paese di Grana diviso tra boschi e terrazzamenti al sole. Nei prati stavano falciando il fieno e, tra le macchie di arbusti, scorreva un torrente. Grana, per ognuno di loro, sarebbe diventato luogo di elezione, dell’anima in cui il papà avrebbe insegnato al suo undicenne Pietro
“con lui era vietato fermarsi, lamentarsi per la fame o la fatica o il freddo”
a camminare su per ripidi percorsi. Bruno, un ragazzino dai capelli biondo canapa che pascolava le mucche avrebbe condotto il coetaneo Pietro alla scoperta di un mondo tutto da esplorare e fare proprio.
“Abitare in montagna mi ha messo voglia di scriverne, i luoghi cambiano i modi del sentimento e anche le parole. La mattina presto scrivo, poi cammino sulla montagna, mangio qualcosa al sacco, la sera scrivo ancora e leggo. Gli amati americani, papà Hemingway, Carver ma anche i nordici europei e Conrad, Rigoni Stern, Primo Levi”.
Con queste parole si è recentemente espresso il valente scrittore in una recente intervista. Con una prosa lieve ma profonda e vigorosa Paolo Cognetti ha scritto, con la biro su un quaderno e poi trascritto sull’iPad, l’intenso romanzo in una baita in pietra sita tra le montagne della Val d’Ayas, in Valle D’Aosta .
“Vivo in baita da maggio a novembre, l’inverno lo trascorro a Milano, è lei la mia città e anche di lei ho bisogno”
rivela l’autore. Ai piedi del Monte Rosa, dove sembra quasi di toccare il cielo azzurro, avvengono accadimenti i cui temi sono l’amicizia, la montagna con il suo silenzio e la sua natura incontaminata e la necessità di venire a patti con il passato che ancora turba.
“Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare”.
Le otto montagne
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