Le parole del mio nemico
- Autore: Nicoletta Riato e Andrea Delia
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
“Madre cara”, “liebe mutter”: parole diverse ma lo stesso affetto. È liberamente tratto da un episodio vero il romanzo ambientato nel conflitto tra Italia e Austria oltre un secolo fa, pubblicato nel 2023 da CTL Editore di Livorno. Le parole del mio nemico è una vicenda dura con il cuore tenerissimo, scritta da Nicoletta Riato e Andrea Delia.
La premessa degli autori è calda quanto il libro e dedicata: a tutte le parole che non sono mai giunte a chi avrebbe dovuto leggerle. Durante la Grande Guerra, nonostante la carenza di carta, sono stati spediti oltre quattro miliardi fra lettere, messaggi e cartoline. Pensieri, paure, saluti, poesie, tracce di umanità. La storia è ispirata dal racconto di un anziano, con l’aggiunta di altre testimonianze.
Nicoletta Riato e Andrea Delia, una laureata in tradizioni popolari a Padova, l’altro in papirologia a Milano, sono operatori culturali molto attivi in Veneto e anche scrittori. Diversi i romanzi brevi e lunghi firmati in coppia, prima di questo che si apre a un progressivo scioglimento tra opposti, in un contesto durissimo come la guerra di trincea e partendo da un odio reciproco aperto tra le parti. Avversari duri s’incontrano e si ritrovano simili, umani, uguali
.
Kobarid-Caporetto, zona di guerra, fine ottobre 1917: gli austrotedeschi hanno sfondato il fronte e avuto facilmente la meglio di una resistenza confusa, uccidendo e soprattutto isolando molti soldati del Regio Esercito.
“Italianen!”, il caporale Hans si rivolge con disprezzo ai prigionieri, irritato perché nessuno conosce il tedesco di quegli straccioni, con le uniformi sporche di fango, senza buffetterie, sequestrate alla cattura. “Austriaco!”, si sente fare il verso con la stessa intonazione, da uno di loro, provocatorio anche col suo ciuffo di capelli scuri sulla fronte nonostante una mano ferita. Si chiama Pietro, “duro come la pietra”, aggiunge con orgoglio, senza timore di guardare fisso il capo dei suoi carcerieri e nonostante il dolore che gli ha inflitto Bauer nella brusca perquisizione.
Hans, sessanta chili scarsi e cresciuto in montagna, venticinquenne sposo da due anni, è stato chiamato alle armi nella caserma di Lienz per fare la guerra. La moglie lo aveva pregato di sottrarsi, lei che aspettava il loro primo bambino. Ma lui cercava quel conflitto, voleva combattere gli italiani, sconfiggerli e schiacciarli. Da quel giorno è passato un anno e non è mai tornato in licenza. Non ha ancora visto il figlio.
Nell’offensiva di Kobarid, finite le fucilate dei difensori che gli avevano ucciso l’amico Carl sotto gli occhi, il caporale ha ricevuto l’ordine di gestire dei prigionieri. Un gruppo di uomini disarmati, controllati dai suoi con i fucili spianati. Uno, seduto sopra un sasso, fuma imperterrito, quasi indifferente, mentre un infermiere gli fascia il braccio destro dal quale scende il sangue. Il sergente dice ad Hans che saranno utili per rinforzare le trincee e gli ordina di occuparsi di loro con altri due soldati. Ha carta bianca su come trattarli: tutto quello che devono fare è lavorare, sopravvivere il più possibile e non consumare troppo cibo.
Seguono le truppe loro avanzanti in Veneto. Occupano una cascina semidiroccata nelle retrovie del Piave, attendono che i commilitoni all’assalto superino il fiume o riescano ad aggirare il nemico dai monti, sulla destra del nuovo fronte. Ma non succederà quell’inverno, né tanto meno nel giugno successivo.
Hans apprezza poco a poco un incarico che gli risparmia i rischi della prima linea, sebbene non sia affatto agevole gestire italiani che non capiscono una parola di tedesco e dei quali non capisce una parola. Sono giovani e tutti docili, tranne uno, e soffrono la fame e gli stenti. Alcuni spirano davanti ai compagni e il caporale austriaco è colpito dall’attenzione che soprattutto quello spavaldo, quel Pietro, riserva ai morti, ai quali stringe la mano per lunghi momenti dopo l’ultimo respiro. L’italiano osserva a sua volta i nemici, convinto che l’austriaco migliore sia quello morto. Ha compiuto vent’anni in trincea, incaricato per lo più di distribuire il rancio e recuperare i caduti in combattimento.
Guardie e prigionieri convivono in quella relativa sicurezza, lontani dal pericolo più incombente. Hans e Jurgen sono freddamente equi nei confronti dei prigionieri, Ludwig Bauer resta crudelmente ostile ma il caporale lo tiene a freno, anche con le cattive, risparmiando il peggio agli italiani. È sempre più incuriosito da Pietro, che si è proposto come cuoco senza però piegarsi mai. Soprattutto, quel nemico cocciuto gli ha dato fogli di carta pulita per scrivere a casa. Un patrimonio inestimabile, i suoi erano diventati una poltiglia inservibile.
Hans si ritrova a riflettere che tutti hanno qualcuno a cui scrivere, anche gli italiani. Che “le parole ci uniscono”. Che da morti, amici e nemici tornano uguali. Si trova al riparo dalle bombe, non rischia d’essere colpito, consuma cibi inattesi e ha nuova carta per scrivere a casa: gli ultimi due vantaggi grazie a Pietro. Cucina con inventiva e gli ha offerto i fogli bianchi che nascondeva sotto la maglia. Hans gli ha messo accanto lapis e pagine, perché possa scrivere anche lui alla madre in Italia. Il cuore di un soldato batte forte quando arriva una lettera da casa, premettono ancora Nicoletta Riato e Andrea Delia. Messaggi che tengono vivi, che fanno sentire vicini anche se si è tremendamente lontani.
Sembra di sentire il rombo dei cannoni a distanza, ma nelle pagine i buoni sentimenti prevalgono mano a mano che si procede nella lettura. Soldati nemici si ritrovano lealmente vicini e se la pace non è mai facile, è però favorita dalla comprensione e dalla consapevolezza di essere umani. Dopo secoli di ostilità, oggi italiani e austriaci sono amici sinceri: una lezione molto attuale ed esemplare per tanti popoli.
Le parole del mio nemico
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