Le parole della nostra storia. Perché il greco ci riguarda
- Autore: Giorgio Ieranò
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2022
Il greco è la lingua europea più antica. Le parole chiave della civiltà occidentale hanno quasi sempre una radice nell’idioma dell’Ellade precristiana.
Siamo eredi dei Greci, attraverso il mondo latino e da questo sono derivate tante conseguenze. Ci hanno trasmesso la democrazia, la filosofia, il teatro, la poesia, ma siamo sicuri che si trattava della nostra stessa democrazia, ad esempio?
Lo chiede e offre una esaustiva risposta il grecista Giorgio Ieranò, in un volumetto intitolato Le parole della nostra storia. Perché il greco ci riguarda, disponibile da giugno 2022 nella versione pocket dell’Universale Economica Feltrinelli per Marsilio (collana “Nodi”, 222 pagine, 10 euro), due anni dopo la prima edizione nel 2019 sempre per i tipi della casa editrice veneziana.
La sua tesi? Non possiamo dirci totalmente eredi degli antichi Greci, almeno non pienamente, come invece sostenevano la scrittrice Mary Shelley e il filosofo Hegel, innamorati della grecità millenaria.
Si pensi alla diversità della democrazia di Pericle dal concetto contemporaneo di democrazia, per rendersi conto di quanto la relazione più che stretta possa risultare “scivolosa” secondo Ieranò:
Perché questi benedetti Greci sono riusciti a essere tante cose diverse nella loro storia e anche noi forse siamo spesso diversi da ciò che crediamo di essere.
Abbiamo reinventato più di quello che abbiamo ereditato. Concepivano il cosmo e l’universo in modo diverso dai moderni e così l’esistenza, la religione, la cultura.
Quella di Pericle era una democrazia solo di nome, ma di fatto il dominio di un primo cittadino. Hobbes la considerava addirittura una monarchia. Perfino Hitler ammirava lo statista ateniese e se ne dichiarava seguace, come testimoniava il suo ministro Albert Speer.
Comunque, un filo solidissimo ci lega ai Greci del passato ed è costituito proprio dalle parole. Anche per esprimere concetti nuovi ci siamo serviti di termini antichi, nati in quell’appendice meridionale della penisola balcanica che si chiamava Ellas e che chiamiamo Grecia, come osserva autore che è docente ordinario di Letteratura Greca presso l’università degli Studi di Trento.
Nello sviluppare il saggio, Ieranò si sofferma in dettaglio:
- sulle parole dell’anima: psiche, malinconia, filosofia;
- sulle parole del sacro: mistero, mitologia;
- sulle parole della cultura: poesia, teatro, scuola, filosofia;
- sulle parole della politica: democrazia, tirannide, economia;
- sulle parole nuove: utopia, xenofobia, ecologia.
L’ultima parola oggetto d’attenzione, “epidemia”, è un tantino agghiacciante di questi tempi.
Dalla lingua greca ci arrivano i termini fondamentali del pensiero, delle arti, delle scienze (riconoscendo una parte di ragione ad Hegel e Shelley). La biologia è il discorso (logos) sulla vita (bios), la zoologia sugli animali in quanto esseri viventi (zoè, vita), geografia è la descrizione (graphein, disegnare, descrivere) della terra (ghè). Erano greche già geometria, matematica, astronomia. Anche poesia, filosofia, teatro, teologia e l’intero lessico della politica (che deriva da polis, città).
Sono vecchie di due millenni e mezzo economia, scuola, ginnasio, liceo, oltre a epidemia e pandemia, tornate d’attualità negli ultimi due anni. Anche qui, però, l’uso attuale non coincide con quello che ne facevano i greci.
Per Omero e Tucidide epidemia non aveva il significato di malattia che coinvolge tutto il popolo, ma si riferiva a qualcosa di locale. È poi entrata nel glossario medico attraverso gli allievi di Ippocrate, a indicare quanto riguarda un territorio, non appare nel mondo latino e si ritrova solo dopo il 1600, in trattati medici che chiamano la peste morbus epidemicus. Quanto a pandemia, per Platone è tutto il popolo che partecipa in massa a manovre militari, compresi donne e bambini.
Sono greche le parole cruciali della tradizione cristiana, a partire da Chiesa, Vangelo, cristiano stesso. Christòs traduceva l’ebraico Messia. Gli evangelisti hanno scritto in greco, che si deve considerare la lingua fondatrice del Cristianesimo e non è affatto una lingua morta, continua a essere parlata da millenni, senza interruzione.
Nel tempo la lingua greca si è trasformata, ha preso in prestito parole turche o veneziane, ma tuttora il mare si chiama thalassa in Grecia, come ai tempi di Omero. Ed è lingua viva: quando la modernità si è inventata parole nuove, le ha spesso create sullo stampo del greco. Utopia, nostalgia, ecologia, xenofobia, psichedelia, sono nate tutte dopo il Medioevo. Altre, in tempi molto recenti, sono invece costruite su radici greche. Telefono ha abbinato phonè, voce, al prefisso tele, che significa da lontano. Cinematografo è la rappresentazione del movimento, kinema.
C’è il greco anche dove non ce lo aspetteremmo: attimo ha alle spalle probabilmente àtomos, usato già da Aristotele nel senso di una frazione di tempo indivisibile. Gamba viene da kampè, giuntura e perfino la parola inglese glamour, diffusa anche in Italia, è forse una corruzione di grammatikè, grammatica.
L’autore ha voluto accompagnare i lettori in un viaggio nella storia delle parole greche. Avventuroso, perché si tratta di un percorso “accidentato e labirintico”, con sentieri spesso interrotti e poi ritrovati a distanza di secoli, in cui le parole greche sono state giocate su diversi piani e nei modi più imprevedibili.
Al centro resta sempre la storia, con le sue vicende complesse.
Giorgio Ieranò insegna all’Università degli Studi di Trento. Saggista e traduttore teatrale, si occupa in particolare di mito e dramma antico. Con Sonzogno ha pubblicato la serie di narrazioni mitologiche che comprende Olympos (2011), Eroi (2013), Gli eroi della guerra di Troia (2015), Demoni, mostri e prodigi. L’irrazionale e il fantastico nel mondo antico (2017), tutti disponibili in edizione tascabile Universale Economica.
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