Le repubbliche marinare
- Autore: Ermanno Orlando
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2021
Repubbliche marinare, bella memoria storica nazionale, antica tradizione, ma espressione tutto sommato recente. Ma non erano solo quattro e nemmeno repubbliche, semmai città marinare. Lo spiega il prof. Ermanno Orlando, nel saggio storico edito da il Mulino nella primavera 2021, Le repubbliche marinare (Universale pocket, 216 pagine). Insegna storia medievale nell’Università di Siena per stranieri e con la casa editrice bolognese ha già pubblicato nel 2014 Migrazioni mediterranee, Venezia e il mare nel Medioevo.
A suggerire l’espressione, poco più di duecento anni fa, è stato uno
storico svizzero che amava l’Italia e ne studiava la storia, Jean-Charles-Leonard Simonde de Sismondi, autore di una grande Histoire des républiques italiennes du moyen age, pubblicata tra il 1807 e il 1818. Il prof. Orlando chiarisce subito che Simonde chiamava repubblica il libero comune italiano e tra questi individuava alcuni che nel Medioevo si erano distinti per vocazione marittima e capacità commerciale, conquiste territoriali e progressi economici. Ecco le repubbliche marinare, numerose, per la verità, fino a una decina se si vuole, al di là delle quattro canoniche (andrebbero contate anche, Gaeta, Ancona, la ligure Noli e Ragusa, in Dalmazia). E non tutte erano rette da un ordinamento repubblicano.
Fosse stato per il Risorgimento, l’espressione sarebbe finita nel dimenticatoio e invece ha indubbiamente avuto fortuna, incontrando il favore degli italiani, che si riconoscevano in quella versione collettiva del popolo di santi, poeti e appunto, navigatori, tanto autocelebrativa.
L’ideologia patriottica risorgimentale disapprovava l’esaltazione di realtà locali in lotta anche tra loro, italiani contro italiani, per l’egemonia anche fuori dai confini patri. Contrastava con la narrazione di un’Italia da sempre in lotta per l’indipendenza e l’unificazione statale, nel nome di una convinta identità culturale.
Già con l’Unità del 1861, però, nel Bel Paese si cominciò ad apprezzare il retaggio delle repubbliche marinare, anche per il contributo di uno storico della nascente marina italiana, Camillo Manfroni.
L’adozione nella memoria storica collettiva si perfezionò col fascismo, che le considerava storicamente funzionali alla propria politica internazionale aggressiva, tanto per celebrare i fasti italici che per rilanciare la missione colonizzatrice all’interno del Mediterraneo. Il regime attinse a piene mani dalla memoria delle città marinare, potente strumento di propaganda e di elaborazione ideologica: erano l’elemento naturale di congiunzione con l’eredità della Roma imperiale, di cui stava raccogliendo il ruolo-destino di potenza coloniale rivendicato dall’Italia fascista.
Non si arrivò subito a fissare il numero convenzionale in quattro, si dovette superare qualche perplessità su Amalfi, che ha rischiato di restare fuori, per il disallineamento temporale e i dubbi sulla reale grandezza in confronto alle consorelle. La città portuale campana era in decadenza nell’XI secolo, quando le altre città marinare avevano iniziato da poco la parabola ascendente. Pisa declinò nel XIII, mentre Genova proseguì fino a metà 1600 e la Serenissima Repubblica di Venezia resse fino a quasi tutto il 1700, cancellata da Napoleone Bonaparte.
Si prenda Flavio Gioia, inventore della bussola e rappresentante per antonomasia della civiltà marinara amalfitana. Non solo la bussola era già conosciuta nell’antichità, ma lo stesso non è mai esistito. Non se ne trova traccia nelle fonti, il nome è derivato da un banale errore di lettura di un testo classico della storiografia umanistica. Di fronte all’evidenza, si è sostenuto che l’invenzione della bussola fosse comunque da addebitare collettivamente alla perizia marinara degli amalfitani, ai quali si deve anche un testo giuridico cardine, le Tavole amalfitane, il codice di diritto commerciale marittimo che ha concorso alla formazione di tutte le raccolte medievali di leggi del mare. Tanto è bastato per dimostrare la grandezza di Amalfi e legittimarne l’inclusione tra le grandi regine dei mari del Medioevo italiano, con Pisa, Genova e Venezia.
Gli stemmi delle quattro repubbliche marinare vennero inseriti nel 1941 nell’emblema della Regia Marina, adottato ufficialmente nel 1947 dalla Marina Militare della Repubblica Italiana. Il Leone di San Marco, la croce di San Giorgio di Genova, quella occitana di Pisa e l’ottagona di Amalfi campeggiano anche nello stemma della Marina Mercantile, che si differenzia dall’araldica dell’Arma navale per l’assenza della corona e del rostro guerreschi nella parte superiore.
Dal dopoguerra, però, la defascistizzazione e l’abbandono della retorica imperialistica hanno avviato nella percezione comune un “progressivo decadimento” dell’importanza delle città marinare.
Il volume “ripercorre, tratteggia e nello stesso tempo ripensa la storia delle maggiori città marittime del medioevo italiano”. Non una storia delle quattro repubbliche, ognuna nella sua dimensione particolare, ma la declinazione della loro dimensione marittima, del loro dipendere dal mare e agire sul mare.
Le repubbliche marinare
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