Le signore in nero
- Autore: Madeleine St John
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2019
Le signore in nero non è, come potrebbe suggerire il titolo, un thriller in cui misteriose donne fanno fuori in modo più o meno violento le proprie vittime.
È, invece, il brillante romanzo d’esordio della scrittrice australiana Madeleine St John: pubblicato per la prima volta nel 1993 e edito quest’anno da Garzanti (traduzione di Mariagiulia Castagnone), è l’unico dei quattro da lei scritti ambientato in Australia, negli anni Cinquanta – gli altri sono narrano le esistenze di personaggi della classe medio-alta londinese a Notting Hill.
Il “nero”, infatti, è quello delle uniformi, tutte identiche se non fosse per la taglia, delle protagoniste, che lavorano come commesse nelle sezioni più esclusive di un grande magazzino nel centro di Sydney, Goode’s:
Quei grembiuli neri venivano indossati per tutta la settimana e poi venivano lavati a secco dall’azienda durante il weekend, per iniziare un’altra settimana di lavoro il lunedì mattina. Avevano un odore particolare, non esattamente cattivo, ma diverso, risultato dei frequenti lavaggi con sostanze chimiche, misto al puzzo di borotalco a buon mercato e di sudore.
Ogni commessa aveva su di sé questo odore quando indossava il grembiule nero.
Questi indumenti, forniti da Goode’s che ne conservava la proprietà, erano studiati apposta per valorizzare le grasse e le magre, ma per la verità non esaltavano né le une né le altre. D’altra parte le commesse non erano lì per abbellire il negozio, ma per vendere ciò che conteneva. E così ognuna di loro si infilava l’abito nero con un sospiro di rassegnazione, contorcendosi inutilmente per adattarlo al corpo mentre si guardava riflessa nello specchio a figura intera.
Sotto la direzione di un uomo, Mr Ryder, il caporeparto, di Miss Cartright, la responsabile acquisti – la vera “rompipalle” – e la supervisione di Miss Jacobs, la responsabile delle modifiche, un incarico reso evidente da un lungo metro che portava come un nastro attorno al collo per essere sempre a disposizione di chi voleva aggiustare un orlo o sistemare una cucitura, si intrecciano le vite delle commesse.
Nel reparto “Abiti da cocktail”, vicino a quello dei “Modelli esclusivi”, a una delle estremità del secondo piano, mancano solo sei settimane alle feste, le clienti arrivano a frotte e gli abiti spariscono dagli espositori “come travolti da un turbine”: il periodo è quello particolarmente impegnativo e frenetico delle settimane che precedono e seguono lo shopping natalizio, saldi compresi e, oltre alla clientela, sempre a caccia del modello esclusivo o dell’affare imperdibile, ciascuna delle protagoniste deve affrontare i problemi più che l’assillano.
Miss Jacobs non ha mai perso un giorno di lavoro, né per malattia né per qualche altra disavventura. Nessuno sa dove vive, mangia e dorme al di fuori delle ore di apertura di Goode’s: ogni sera lascia il grande magazzino con la gonna e la camicetta con cui è arrivata, portando con sé una grande borsa a tracolla con dentro uno o due pacchetti avvolti nella carta marrone, di cui nessuno conosce il contenuto. La sua taglia e in generale il suo aspetto sono le uniche cose che si sanno di lei; tutto il resto rimane un mistero:
Miss Jacobs, piuttosto tozza e non più nel fiore degli anni, aveva la carnagione scura e una capigliatura striminzita che legava in un piccolo chignon fuori moda dietro la testa grande e tonda. Portava degli occhiali con la montatura di ferro e un fazzoletto bianco e immacolato ficcato nel petto. Le scarpe erano nere, allacciate e con il tacco basso e la camminata di una pesantezza quasi patetica.
Miss Baines, Fay, ventotto anni, ex soubrette, vive da sola in un buco vicino a Bondi Junction, dove nessuno può tenerla sotto controllo. Il suo argomento preferito sono gli uomini; quando non piange è una bella ragazza con i capelli scuri e ondulati e grandi occhi marroni dallo sguardo innocente; adora i cosmetici che applica con generosità, soprattutto quando deve uscire:
Purtroppo, a vederla, Fay non ispirava pensieri matrimoniali. Una realtà dolorosa, perché lei non voleva altro che il matrimonio: il che, tutto sommato, era perfettamente comprensibile. Ma gli uomini si facevano immancabilmente un’idea sbagliata.
Anche Mrs Williams, Patty, vive in uno stato di disperazione latente e inconsapevole, ma il motivo, pur essendo legato al sesso opposto, è un altro:
Mrs Williams era una donnina esile e scolorita, con il viso tirato e i capelli inchiodati in una permanente rigida. Suo marito Frank era, ovviamente, un bastardo. L’aveva sposata quando lei aveva solo ventun anni e lui era un robustone di ventisei. Nessuno poteva immaginare perché non fossero riusciti ad avere figli, ma dopo dieci anni dal lieto evento lei era ancora lì che lavorava nonostante l’arredamento della casa fosse ormai completo, a parte qualche piccolo dettaglio.
Lesley Miles, invece, si presenta da Goode’s per sostenere il colloquio per il posto di assistente commessa (temporanea) e, nel compilare un modulo, la prima parola che scrive, con grande cura e una forte sensazione di pericolo, è “Lisa”: il nome che ha scelto per sé parecchi anni prima, visto che detesta quello che le hanno dato alla nascita, il nome del maschio che suo padre non ha voluto:
Questa ragazza, almeno, era intelligente: il modulo che aveva compilato rivelava che stava per conseguire il diploma di scuola superiore. Ma il viso! La figura! Aveva il corpo e le fattezze di una ragazzina di quindici anni, ancora piuttosto immatura, per giunta: piccola ed esile, striminzita persino, con i capelli biondi e crespi e gli occhi luminosi, dallo sguardo innocente dietro un paio di occhiali anonimi. Una volta indossato il vestito nero sarebbe parsa più adulta, anche perché quello che aveva addosso era davvero orribile, chiaramente fatto in casa in modo approssimativo: un abitino di cotone stampato con le maniche attaccate male e il colletto tondo. Povera bambina. Lisa, invece, che aveva stirato con gran cura l’abito rosa che indossava, il più bello che aveva, e si era messa le scarpe con il tacco alto e un paio nuovo di calze di nylon, era certa che il suo aspetto si avvicinasse il più possibile a quello giusto per la sua nuova identità e quindi se ne stava seduta dritta con un sorriso impaziente, del tutto ignara dei pensieri segreti di Miss Cartright.
Il problema di Lisa riguarda suo padre, un compositore tipografico all’«Herald », che vede assai di rado. Di solito torna a casa a notte inoltrata, dorme fino al pomeriggio e sparisce di nuovo diretto al pub, dove scola birra per un paio d’ore, fino al momento di andare al lavoro. Buona parte del suo stipendio finisce, a insaputa della moglie e della figlia, nelle tasche degli allibratori.
Fragile, apparentemente solitaria, stranamente distaccata, ignorata dagli insegnanti, decisamente mediocre nel profitto, Lisa, tre anni prima, aveva scoperto per caso la poesia La tigre. La tesina scritta sul piccolo capolavoro di Blake aveva suscitato l’attenzione e l’incoraggiamento dei professori che, a loro volta, avevano influenzato il suo rendimento generale, facendo sì che migliorasse in tutte le materie.
Ma, mentre la madre è orgogliosa del fatto che la figlia sia una studiosa, per il padre frequentare la scuola è solo una grande perdita di tempo e non intende permetterle di iscriversi l’università.
Lisa viene dunque assegnata al settore Abiti da cocktail, ma, di tanto in tanto, può dare una mano anche nel reparto Modelli esclusivi, uno spazio lussuoso – ma non per tutti – che riproduce l’ambiente in cui, si presume, vivono le clienti, e la “pitonessa” che ha l’incarico di fare la guardia è Magda:
Magda, snella, sensuale, ben vestita, seno fiorente, mani curate e acconciatura perfetta, era la più travolgente, profumata, scintillante, sgradevole e spaventosa serpentessa che Mrs Williams, Miss Baines e forse la stessa Miss Jacobs avessero mai visto e tanto meno immaginato. Magda (e basta, perché nessuno poteva nemmeno sforzarsi di pronunciare quel suo terribile cognome europeo) era uno di quegli accidenti della vita che le altre cercavano di ignorare per gran parte del tempo, ma se dovevano condividere un aiuto temporaneo con lei, era chiaro come il sole chi avrebbe fatto la parte del leone. Magda sarebbe sbucata dalla sua grotta rosa, sarebbe arrivata con passo sinuoso fino agli Abiti da cocktail e avrebbe arraffato l’aiuto in questione nell’attimo stesso in cui la ragazza avesse cominciato a rendersi utile. Era un dato di fatto, perché Magda era il tipo di donna che ottiene sempre quello che vuole. Magda era una continentale, ecco il problema, un’europea, cosa che loro erano ben contente di non essere.
[…] Era impensabile che Magda indossasse l’abito nero di ordinanza mentre presiedeva il settore Modelli esclusivi. No, in questo campo (come in molti altri) era stato raggiunto un compromesso in base al quale Magda accettava di vestirsi di nero, ma alle sue condizioni. Aveva comprato un’intera collezione di abiti adatti allo scopo, che erano illuminati, per non dire migliorati, da piccole aggiunte di bianco – un colletto, dei polsini, o entrambe le cose – o persino, in un caso, da alcuni dettagli rosa pallido, che aveva scovato in quelle boutique costose di cui era cliente abituale e in cui godeva di uno sconto sovvenzionato da Goode’s.
Fino all’arrivo di Lisa queste signore conoscono poco l’una dell’altra, non si frequentano e, anche se per motivi diversi, capita che si guardino con sospetto o che diventino oggetto di pettegolezzi.
Magda, però, comprende che Lisa, l’adolescente che trova rifugio nei libri, non prova ostilità verso gli stranieri come la maggior parte degli australiani e, sotto la sua ala, viene iniziata ai pranzi con squisitezze esotiche, alle feste, alle conversazioni in francese e ai discorsi eruditi sull’arte, la letteratura, la musica...
La ragazza si sente a proprio agio nel frequentare la casa della slovena Magda e dell’ungherese Stefan, giunti in Australia dopo la guerra con la consapevolezza di essere sopravvissuti all’inferno. È l’ambiente dove può finalmente parlare di ciò che l’appassiona e dove Fay – che non ha mai letto nulla se non le riviste di moda femminili e sta ora affrontando Anna Karenina prestatole dalla giovane collega – viene invitata per il capodanno organizzato dalla padrona di casa, proprio perché sembra corrispondere alle caratteristiche che un amico comune, un colto europeo immigrato recentemente, sta cercando in una donna australiana:
È sulla trentina e non è bellissima, ma non è neanche male. Certo il suo maquillage è terribile e non ha un briciolo di stile, ma all’apparenza è forte e sana, e ora che ci penso non ha affatto l’aria di essere già innamorata.
È anche l’ambiente dove Lisa viene iniziata all’alta moda: Magda si rende conto che non è affatto male doversi occupare di una ragazzina così “ignorante”, e di quanto sia gratificante dare istruzioni e preziose nozioni sul taglio, lo stile, il gusto e gli stilisti europei più in voga:
Lisa fissava gli abiti a occhi sgranati, più confusa che mai. Le girava la testa. Negli ultimi tempi aveva capito che un abito poteva essere qualcosa di più di un rivestimento più o meno alla moda. Ciò che adesso coglieva, in modo ancora vago, bizzarro e del tutto improvviso, era un significato che non avrebbe mai nemmeno sospettato: ciò che coglieva, in modo ancora vago, bizzarro e del tutto improvviso era che la moda poteva essere… sì, insomma… poteva essere arte.
Fu la mattina successiva che Lisa vide Il Vestito. […] Figlio dell’immaginazione di una grande couturière, con quella miscela perfetta di disinvoltura e romanticismo, sofisticatezza e semplicità che solo la mente femminile è in grado di creare, Lisette era l’abito da sera perfetto per una ragazza...
La sua è la nuova e improvvisa consapevolezza che un vestito non è solo bello o sta a meraviglia, ma che è stato creato, anche se inconsapevolmente, per lei.
Tutti questi, e altri importanti cambiamenti, fanno sì che Lisa senta di essere stata improvvisamente proiettata nella vita vera, lasciandosi alle spalle la piccola Lesley.
Ambientato alla fine degli anni ’50, in un momento di grande cambiamento sociale – siamo sicure che le cose siano poi così cambiate ai giorni nostri?! – durante il quale i rifugiati europei del dopoguerra – da sempre denigrati dagli australiani – iniziano a incidere sulla cultura, il romanzo della St John riesce a trasmettere un’immagine convincente anche delle dinamiche relazionali fra i due sessi. L’idea è che siano gli uomini a rendere felici o infelici le donne, le quali si definiscono attraverso i ruoli stabiliti per loro di mogli e madri. Non è certo un caso se la maggior parte degli uomini australiani di questo libro siano raffigurati come piuttosto insensibili ed egoisti – dei “bastardi” –, mentre i "continentali", come il marito di Magda, Stefan e il suo amico ungherese Rudi, colti e sofisticati, trattano le donne con rispetto e cortesia.
Si tratta di una realtà non sempre positiva, ma che viene descritta con intelligenza, leggerezza, sensibilità e un tocco di glamour, in brevi capitoli dedicati ai vari personaggi e a situazioni diverse, con dialoghi efficaci, descrizioni acute, un tono confidenziale e molti riferimenti letterari – da Jane Austen a Lev Tolstoj fino a William Blake.
Possiamo solo immaginare come finiranno le storie di queste donne mentre affrontano i loro problemi con un atteggiamento spesso di rassegnazione e passività, e cercano di trovare un posto in un mondo prevalentemente dominato dagli uomini.
Il lieto fine sembra comunque assicurato, soprattutto per Lisa che, come in tutte le fiabe che si rispettino, da adolescente timida e impacciata, si trasforma in una donna decisa non solo a inseguire, ma anche a realizzare i propri sogni.
Le signore in nero
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le signore in nero
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Lo leggerò anche se non ho letto tutta la recensione perchè è troppo lunga.
Mi spiace se ha trovato la recensione troppo lunga: in effetti ci sono tante citazioni, che però ho inserito per dare un’idea precisa della scrittura di Madeleine St. John. L’importante è averla incuriosita.