Le stanze dello scirocco
- Autore: Cristina Cassar Scalia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2015
Il traghetto ha appena lasciato il Continente, la Sicilia si avvicina e l’odore del mare inizia a confondersi con quello delle zagare.
La vedi quella, Viki? E’ Messina: la porta della Sicilia... Attraversare lo Stretto per me è come varcare un confine immaginario, che separa la mia terra da... tutto il resto del mondo
Così il notaio Enzo Saglimbeni alla figlia Vittoria, nel “nostos” verso la sua terra, il ritorno come un miraggio, un sogno agognato. Eppure Lui: pur amando visceralmente la sua terra, aveva deciso di allontanarsene. Ricorda, l’immagine di Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, quando rivolgendosi ad un indeciso Totò gli dice.
Vattinni chista è terra maligna. Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia.
Appunto, la nostalgia... fai tutto per andartene, ma quel sentimento ben presto ti assale, ti soffoca, non ti lascia più. Perchè? Glielo aveva predetto molti anni prima il suo amico Ciccio Ranieri:
La Sicilia è mavàra. Quando uno se ne va, lei gli fa la fattura: che se non torna muore di nostalgia.
“Le stanze dello scirocco”, edito da Sperling & Kupfer nel 2015, è il secondo romanzo dell’autrice netina Cristina Cassar Scalia, medico prestato all’arte della scrittura. Come nel suo primo romanzo, “La seconda estate”, l’ambientazione è isolana. Dopo Capri è la Sicilia a fare da sfondo alla storia di Vittoria e della famiglia del notaio Saglimbeni, da Roma a Montuoro, paesino immaginario non lontano da Palermo, il tutto inscritto, come un romanzo di Manzoni, in un contesto storico ben preciso e documentato, caro all’autrice, la contestazione studentesca del 1968. E’ la narrazione di una storia d’amore, molto travagliata, fra Vittoria, ventiduenne studentessa di architettura, ribelle, caparbia, anticonforrmista (Siciliana è! ripete spesso con orgoglio il padre Enzo) e l’ombroso, tradizionalista, maschilista Diego, quasi un personaggio di Brancati in superficie, ma pirandelliano interiormente, con il peso di una maschera da portare per nascondere ataviche paure e fragilità. Due mondi diversi, una dualismo inconciliabile di pensare la vita, ma infine complementari, due facce di una stessa medaglia.
L’autrice, come un moderno Caravaggio, maestro di luce e ombre, dipinge una “storia di Sicilia”, una tela che trasuda dei suoi profumi, della sua storia, della sua gente, pregna di contraddizioni, degli ipocriti “pare brutto”, dei pregiudizi, ambiguità e miserie, eppure capace di slanci improvvisi quanto isolati. E’ un affresco di paesaggi assolati, suggestivi, quasi onirici. La Sicilia, con le sue ondulazioni e infinite sfaccettature, è il colore di fondo sul quale vengono impressi, mediante sapienti pennellate, personaggi ben caratterizzati, dai caratteri forti, come quelli femminili ad altri meschini, bigotti, vestiti di quella pigra sicilitudine di duplice polarità, di contrasti, di luci e di tenebre, di comico e tragico. L’ambientazione sembra un film di Sergio Leone, con tempi narrativi volutamente dilatati, in un alternarsi di punto e contrappunto, fra il canto “rivoluzionario e progressista” di Vittoria, delle sue minigonne, della sua MG rossa, del giovane prete seguace di Don Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana, delle rivolte studentesche a Valle Giulia, della legge Basaglia… e il mormorio gattopardesco della gente pettegola, del barbiere, del circolo dei nobili, del perbenismo ipocrita e “bacchettone” dello zio Monsignore, povero “mestierante” della fede, sempre al sicuro nella sua fredda sagrestia, colpevoli attori di una Sicilia decadente e immobile, tragico coro greco di Tancredi di Tomasi di Lampedusa:
Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.
Vittoria riesce a portare un po’ di “aria fresca”, in un mondo asfittico e di ancestrale staticità, come quella che si respira nelle dimore nobiliari siciliane, in piccoli ipogei: le stanze dello scirocco, quando nelle giornate di “calura”, il sensuale vento di sud-est , come diceva Alceo, dissecca la mente e le ginocchia.
Le stanze dello scirocco
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