Les Italiennes
- Autore: Claudio Grisancich
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2018
"Fragile cuore / che cosa resta di quei bei giorni?"
La domanda è centrale nella silloge asciutta ed elegante, emotiva e nello stesso tempo distaccata di Claudio Grisancich Les italiennes " (Trart edizioni, 2018, pp. 112). La prefazione è di Laura Ricci, gli affascinanti commenti pittorici che fanno da contrappunto alle parole sono di Patrizia Bigarella, con una nota critica ai suoi quadri di Federica Luser.
Italiane: in lingua italiana le poesie di un autore che si è fatto amare in testi scritti in dialetto triestino, condensando nella lingua madre intima e privata il mondo che tutti portiamo dentro, grumo di affetti e domande sospese, di desideri e perdite fino allo sguardo spinto al limitare della vita, al suo mistero. E ora un cambio di registro lessicale in italiano, sperimentato già nel libro 99 haiku metropolitani, credo per dire con timbro e sonorità condivise da tutti la scarnificazione dell’essere, posto senza possibili finzioni di fronte a se stesso, alla sua nudità, al difficile momento della sera incombente:
"Il tempo mastica mastica / e alla fine inghiotte / e quel che resta lo lisci / sullo specchio con il palmo / di una paura che vuol essere / carezza ed è soltanto / brivido della sera che è scesa".
Che cosa rimane? Il poeta, con la vita da rimembrare, per comprendere. Una vita sintetizzata e presentata in quadri spezzati, legati gli uni agli altri dal ricordo indelebile, ma pure dalla consapevolezza raggiunta che da tutto bisogna lasciare la presa. È un libro metafisico, si apparenta ai quadri di de Chirico, al vuoto delle sue piazze deserte con vestigia e manichini. Anche i dipinti di Bigarella, nell’astrazione che cancella le forme, suggeriscono la smaterializzazione e la meditazione, l’introiezione della realtà.
Che cosa resta dunque? Lo chiedo per la seconda volta, come succede nei testi iniziatici, per rimarcare l’importanza del quesito. Resta il tempo riesumato, fermato per sempre, non senza aver compiuto prima un sincerissimo esame di coscienza e aver enumerato le sottrazioni patite e inflitte, messo in risalto le passioni inafferrabili e nel contempo intramontabili, e le immagini di quanto fu:
“Tu non sai la pena del piede, / della stringa, del lastrico indurito / nell’attesa di un treno / che se mi strappa via / mai e poi mai / mi condurrà da te.”
Oppure immagini create in modo fantasmatico, non fa differenza: l’andare lungo la Senna; i poeti d’oltreoceano girovaghi e insofferenti al perbenismo (l’omaggio è a Leonard Cohen) sono tutte metafore di una ricerca di senso, del tormento e dell’insoddisfazione, della perdita. No, sembra dire Grisancich in questo poema dolcemente malinconico, non c’è pace, "il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo". Le liriche dedicate alla casa mostrano oggetti e rifugi rassicuranti, i libri, la cucina luogo del calore, ma pure dicono lo smarrimento dei bicchieri rotti per accidente e imprevisto, simboli del male di vivere montaliano. Si vede quanto la casa sia vuota o lo diventi.
Siamo di fronte a una poesia elegiaca, romantica, alla maniera di Rilke in quanto a significato, sebbene si differenzi dalle elegie di quest’ultimo per la sua brevità e sintesi. Poesia abitata dalla morte, mai nominata direttamente, solo con allusioni pregnanti, con tremito, attesa e accolta.
Nel distaccarsi filosofico il poeta prende le distanze dal potere; lo fa affiancandosi a Kavafis, inoltre smascherando l’orribile volto del nazismo con la rievocazione della Shoah e della scrittura di Anne Frank.
Fragile cuore, che cosa rimane? La domanda che pongo per la terza volta (come il Maestro chiede conto tre volte a Pietro del suo amore) è posta a ciascuno di noi, perché la risposta, come in un koan zen, spetta a ciascuno, non è scontata, non è una banale consolazione buona per ogni palato. Una risposta implicita, per chi sa coglierla, sta nella potenza della memoria e nella capacità di fissare gli attimi indelebili. Dove se ne vanno? Restano in un eterno presente, nella compresenza del tutto, come in un ologramma, nel quale il valore è l’attimo stesso, attimo in cui tutto è. Un attimo divengono gli anni e le relazioni, cinque per l’autore le fondamentali, come la quintessenza della vita, resistono e lo compenetrano:
“Cinque ardenti / braci resistono al gelo dei non / ritorni cinque catene cinque / spade ancora e sempre / cinque strade.”
Una fra tutte è la figura di donna stupenda, intensa e archetipica, incompresa perché immensa:
“La sua bellezza / (sole di mezzanotte) / la lacrima il seno / esangue / ma / il sangue nei baci avidi / e / franti come ondate / sulle scogliere nel vento / i capelli / (la furia) / amata donna amante / rapita dagli uomini / agli dei / all’uomo / incompresa.”
Riguardo al tempo, i richiami alla sapienza del testo letterari, filosofici, figurativi, di natura scientifica possono essere molteplici e densi. Non posso che elencarli brevemente come suggestione per chi volesse approfondire. È necessario, il tema è cruciale per la nostra serenità, la nostra pace oppure al contrario tacere forma il nostro inferno, la crisi dell’abbandono e della morte, che generano depressione. Il tempo è il tutto da rivisitare, a cominciare dalla teoria dell’Uno di Giordano Bruno per arrivare alla teoria del Tutto di E. Charon, di Fantappié, passando per la relatività del tempo di Einstein e la confutazione totale del tempo di J.L. Borges, la "Pura durata" di Bergson che si appaia a "La persistenza della memoria" e agli orologi molli di Salvador Dalì. Come non ricordare J. Joyce, triestino di adozione e il suo ininterrotto "flusso di coscienza", il suo "infinito", così ha voluto che si chiamasse l’ultimo capitolo dell’Ulisse. E il parlarsi dentro di Virginia Woolf, il tempo perduto-ritrovato di Proust, L’infinito atemporale di Leopardi... E vedere ogni cosa "sub specie aeternitatis" di B. Spinoza... Potremmo continuare con la visione del tempo circolare di G.G. Márquez, la concezione dell’eternità in G. Fechner, lo svanire in luce del girasole di Montale, i dati mnestici contenuti nei microtubuli delle cellule che fuoriescono dal corpo al momento della morte fisica e persistono come campo elettromagnetico negli esperimenti di Penrose, premio Nobel per la fisica nel 2020...
Spoliazione e ritrovamento sono le due facce della medaglia che Claudio Grisancich offre al nostro interrogarci sull’essere, svanire, persistere e consistere.
Ma c’è di più. La vitalità del poeta sa metabolizzare il dolore ed accettare che esso sia, insieme al destino. Quest’ultimo è dato sempre dai genitori che ci hanno formato:
"La leggerezza della madre / la pesantezza del padre / quanto dolore nelle vene / ricordare.”
"Maktub", "è scritto", afferma la sapienza araba. Tale è il sentimento che attraversa il libro: un’apparente sottomissione che innalza ogni singolo; tutto e tutti hanno preziosità così come sono, perché sono, avvolti in una impalpabile tenerezza mistica. La bellezza è paradossale, include anche quanto stride ed è sgradevole e doloroso, inciso dentro la carne:
"Sotto casa lo strepito quotidiano / morde fin dentro la carne / e tu sei lontana un miglio da qui.”
Non è una lezione da poco.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Les Italiennes
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