Lessico terrestre
- Autore: Vito Giuliana
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2024
Immaginifico e in tal senso modernista, dato il primato delle immagini e il ruolo principe assunto dalla visione nel cammino della conoscenza, il bel libro di Vito Giuliana dal titolo Lessico terrestre (Samuele Editore, pp. 138, 2024), prefazione di Roberto Comelli.
Un centinaio di poesie, estremamente sintetiche, in cui ogni parola è calibrata per raggiungere lo scopo previsto, mostra al lettore il mondo che appare, inteso come significante, limpido e nel contempo misterioso, attraente, carico di un significato non dato, da indovinare e scoprire nel momento in cui lo si guarda.
L’autore, esperto nell’arte del vedere, conduce verso l’illuminazione.
Ciò accade ponendo l’attenzione là dove il poeta, vedendo e dicendo, fa, compie l’atto creativo, tradizionalmente attribuito alla parola poetica.
Un esempio in tal senso sono i versi che aprono la silloge:
All’alba / il volo solitario del falco / che s’allontana verso occidente / indica l’inizio / della candida stagione / della neve.
Abbiamo forse l’opportunità di vedere un falco? No, o pochi l’hanno. Si tratta dunque di un falco ideale, paradigmatico, terrestre come creatura ma assurto all’altezza del simbolo, sicuramente non scelto a caso. Il falco è conoscenza, determinazione, intuizione divina. Infatti il dio Egizio solare Horus era raffigurato con la testa di un falco. Questo uccello pellegrino, dalla vista acutissima, per i Greci era emissario di Apollo. Adottiamo la vista del falco… dall’alto. Porre il falco in apertura implica un intento, una poetica chiave di lettura della raccolta.
In essa scompare del tutto ogni elemento personale, soggettivo, non ve n’è bisogno. Compare altro, la mescolanza continua di elementi naturali antropomorfizzati, umanizzati, affini al nostro corpo: le colline coperte di neve hanno fianchi, ha fianchi la notte; il sole ha palpebre; si incontrano occhi di lucente brina; il vento ha dita di quarzo. Non si tratta di licenze poetiche, sembra che la natura viva per anticipare, contenere, rivelare l’umano.
Nello scorrere i versi siamo catturati da una straordinaria geografia lessicale, già presente nel titolo. Viene in mente un’antica locuzione di saggezza greca: En kai pan, “Uno e Tutto”. L’esistente è interconnesso. Infatti il sentimento di solitudine è assente. Presente è invece la consapevolezza della dissoluzione delle forme, simbolizzata dalla cenere:
La cenere esulta / sugli elementi della terra.
I cedri vanno in cenere, così come vanno in cenere gli imperi, le conquiste stabilite dalle guerre, l’arroganza, la crudeltà. L’artista ricorda la cenere dei roghi...
E anche la luce si fa cenere nella fine del giorno, metafora di tutte le fini:
e i giorni e le notti tramontavano / dietro le ombre delle montagne. / La luce divenne cenere / fra le canne delle paludi.
La cenere è immagine su cui meditare, e non a torto, se pensiamo che essa veniva sparsa sui campi come fertilizzante. È morte e resurrezione.
L’uomo per Giuliana è un errante, viaggiatore al pari delle rondini; ancora una volta è in atto la connessione uomo-natura. Il viaggio è topos della ricerca. Topos universale del cercare è la figura del pastore.
Questa emerge come riconciliazione e salvezza nell’ultima lirica:
I pastori raccolsero / l’innocenza dei lupi / e la gelida grandine / sui petali dei fiordalisi.
Il saggio pastore comprende e accoglie l’innocenza naturale del lupo, e il gelo, la morte sorella, al pari di San Francesco, al pari di Cristo buon pastore, al pari del protostorico Abele, pastore anch’egli.
L’operazione speciale del poeta qui è la stessa compiuta da T.S. Eliot nel suo poemetto Mercoledì delle ceneri, nel quale Eliot, da poco convertitosi al cristianesimo, invoca Maria, bianco azzurro vestita, ovvero la Grande Madre, la Natura "naturans" creante, chiedendo:
Redimi il tempo.
Entriamo quindi nell’infinitezza dello spettacolo, nella conoscenza eidetica di Husserl a cui Giuliana, consapevolmente o meno, conduce. Husserl chiede di sospendere il giudizio razionale (procedimento detto "epochè", mettere il giudizio sospeso tra due parentesi). Anche Giuliana non esprime giudizi, è tutto sguardo. Con lui accettiamo il fluire eracliteo. Scopriremo forse il fondamento, il letto perenne (che noi pure siamo) su cui scorre il fiume delle immagini.
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