Lettera di dimissioni
- Autore: Valeria Parrella
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2011
Una scrittrice di talento, la napoletana Valeria Parrella, già autrice de “Lo spazio bianco” (da cui Cristina Comencini aveva tratto il suo bel film con Margherita Buy nella parte della dolente mamma protagonista), propone ora questo libro dal titolo emblematico: Lettera di dimissioni (Einaudi, 2011).
L’autrice cambia prospettiva e dà al personaggio di Clelia un ruolo che si allunga nel tempo, a partire dall’infanzia fino alla maturità e ai difficili giorni che tutti noi stiamo attraversando.
Clelia vive in una famiglia tradizionale, di intellettuali senza soldi ma pieni di cultura: il nonno amatissimo, Riccardo, professore di latino al liceo; la nonna Margherita, una delle prime donne laureate a Napoli, aveva studiato con il grande Caccioppoli; sua madre Lucia, biologa; suo padre Claudio, architetto; suo zio Raffaele, ballerino al San Carlo. Tuttavia nel corso degli anni il degrado politico e sociale della città non fa sconti a nessuno: i genitori comunisti e integerrimi vanno a vivere con i due figli Clelia e Alessandro a Pompei, dove la vita costa meno, ma il pendolarismo non consente loro grandi possibilità di inserimento nella vita culturale cittadina. Clelia, una volta laureata, vivrà con il suo compagno Gianni in una modestissima piccola casa e finirà per accettare un posto di “maschera” in un teatro cittadino. La passione per il teatro, per la messa in scena, per la musica però scavano dentro la sensibilità di Clelia che finalmente invia un suo progetto teatrale ad un concorso e lo vince: il suo spettacolo viene finanziato e andrà in scena. La sua vita cambia radicalmente: presto incontrerà persone, amici, uomini di cultura, amanti, che trasformeranno la piccola provinciale in una manager dello spettacolo, bella ed elegante, ambiziosa e disposta a compromessi che le appaiono come il male minore, ma comunque compromessi, portandola presto a diventare la prima donna responsabile di un Teatro Stabile in Italia.
Il finale del libro è amaro.
Il romanzo è scritto in modo magistrale, lo stile coinvolgente ed originale, molte pagine si rileggono tanta è l’intensità che le parole del testo riescono a comunicare. Tuttavia soprattutto nella prima parte il libro mi è apparso dispersivo: troppi personaggi, riferimenti, allusioni che rischiano di far perdere il lettore in una serie di grovigli familiari non tutti, forse, indispensabili al ritmo della narrazione. La seconda parte, quella dedicata al teatro, mi è piaciuta di più: l’ho vista più serrata ed efficace anche nel comunicare il profondo disagio che vive Clelia nella gestione della sua professione.
Il taglio del Fus (Fondo unico per lo spettacolo), il ridimensionamento dei finanziamenti alla cultura voluti da questo governo, tuttora in carica, parlano di ferite profonde che la protagonista vive su di sé che non possono che essere condivise e che raccontano una realtà attualissima e, purtroppo, destinata a far perdere al nostro paese la componente più creativa del suo tessuto sociale. Metaforica la condizione del padre di Clelia che viene ritrovato, a sera, vicino al muro crollato della Casa dei Gladiatori a Pompei, per la quale piange come un bambino. È la caduta delle illusioni che la cultura possa salvare l’Italia.
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