Lince
- Autore: Davide Brullo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2022
Poeta impegnativo e complesso, Davide Brullo costringe a fare i conti con il suo talento. Può risultare un poco oscuro senza essere oracolare. Ha una voce lirica potente e contrassegnata dalla visionarietà, pur mantenendo grande razionalità, grande lucidità. È metafisico, esistenziale senza essere né impressionista né espressionista. Sa prendere le distanze dalla poesia di ricerca, pur sapendo essere sperimentale e innovativo. Sa smarcarsi dall’ultimo Montale, che Andrea Temporelli definiva "stravaccato".
Brullo non evita le sentenze, ma per lui anche le metafore e i simboli sono allo stesso modo il sale dei suoi versi. Al contempo il poeta non "metaforizza" tutto: ha i piedi piantati in terra e la sua poesia è anche di sostanza, pur avendo tratti mistici. Adopra la mitologia, eppure non cerca di forgiare archetipi e nemmeno allegorie.
Lince (Crocetti, 2022) è costituito da 3 sezioni (Arcadi, Cronaca artica, Lodi). Sono tutte scritte egregiamente. Non ci sono mai cadute. È poesia autentica, per questo motivo rara e preziosa. La Crocetti non sbaglia un colpo, e si dimostra una grande casa editrice di poesia. Peraltro ho trovato delle affinità tra la poesia di Brullo e quella di un’autrice storica di Crocetti, Maria Grazia Calandrone: mi sembra che entrambi procedano per astrazione e per accumulo. Così come, intuitivamente, penso si possa accostare Brullo a Francesca Serragnoli per stile, poetica e formazione culturale.
Comunque, tornando al libro, il dialogo nella prima parte tra Brullo e lo stesso Temporelli, che non ha bisogno di presentazioni, è colto e di grande spessore filosofico, tanto che a mio avviso supera, per la tensione intellettuale di alcune parti, di Nel magma di Luzi, pur non raggiungendo la drammaticità del capolavoro del poeta fiorentino. Mi pare di poter cogliere che il dialogo fitto tra Brullo e Temporelli segua la triade hegeliana tesi, antitesi, sintesi (dove la sintesi invera e ingloba la tesi e l’antitesi). Riguardo a ciò ritengo che la verità, da un punto di vista culturale, sia un accumulo progressivo di sintesi, hegelianamente intese. Il dialogo tra i due comunque non è una sfida, ma un cercare assieme la verità. Il rimpallo continuo può essere anche inteso come un gioco intellettuale, però mai fine a sé stesso.
Di certo questo libro è memorabile, compresa la prima parte scritta a quattro mani, rarissima dimostrazione che anche la poesia collettiva è possibile (pur non essendo fattibile per tutti, perché per scrivere insieme una poesia bisogna essere sufficientemente sodali, avere delle affinità elettive, essere per lo più sulla stessa lunghezza d’onda). Chi attendeva Brullo al varco, chi si aspettava un passo falso sappia che deve aspettare ancora il prossimo turno, il prossimo libro. Brullo è un poeta che supera a pieni voti l’esame. Ha confermato di che pasta è fatto, ha mostrato che il pulpito da cui provenivano le sue stroncature era molto autorevole. Ha fatto capire, con la qualità dei suoi versi, che erano legittime le sue critiche talvolta al vetriolo. D’altronde Brullo pretende molto dagli altri, ma è anche molto esigente con sé stesso. Dirò di più: è riuscito a probabilmente a dare il meglio di sé.
Non oso dire che ha superato sé stesso perché tutti attendono opere notevoli da Brullo e quindi una raccolta come questa era senza ombra di dubbio nelle sue corde. Certamente ha dimostrato di avere molto coraggio a stroncare autori che vanno per la maggiore: gente con tanto di fascette; è comunque il caso di dire che si è dimostrato corretto e non lestofante: non ha stroncato esordienti ma autori affermati. Ha osato molto e ha scelto una strada impervia. Ha pubblicato un’opera di rara bellezza ma rischiosa, eppure non si è fatto del male.
Guardando in rete ho osservato che questo libro ha ricevuto poche recensioni, probabilmente perché alcuni non dimenticano né perdonano, e hanno voluto ripagare con l’indifferenza lo smacco della stroncatura subita. La comunità letteraria si è quasi chiusa a riccio. Eppure un libro edito da Crocetti dovrebbe quantomeno smuovere un minimo l’opinione pubblica letteraria, anche se è quasi fresco di stampa! È vero che quest’opera mette a dura prova i lettori, tra citazioni dantesche, bibliche, classiche; però allo stesso tempo leggerla è un dovere per chi si occupa di poesia italiana contemporanea, e ne vale veramente la pena. Inoltre si possono cercare di capire i segni e i rimandi del libro, così come ci si può lasciar trascinare dalla mirabile "loquacità" di Brullo senza interrogarsi, accordandosi con la mente alle sue astrazioni e alla sua cultura. Dicevo che non è di facile lettura, Brullo. Bisogna avere pazienza, rileggere, cercare. Bisogna abituarsi.
Ritengo che per capire il senso profondo di quest’opera si debba tener presente che per alcuni autori la Bibbia non solo è la testimonianza dell’esistenza di Dio, ma è anche il più grande libro della letteratura occidentale. Indubbiamente Brullo è consapevole dell’influenza del testo biblico su quest’ultima, e ancor più del proprio di rifarsi alle Sacre scritture. Potrei affermare che Brullo non somiglia in questo a nessuno, esulando dai canoni novecenteschi. La sua operazione poetica mi ricorda più le citazioni di Pound e Eliot che le citazioni ludiche dei vari autori postmoderni, se proprio devo trovare delle somiglianze.
Però il nostro poeta non vuole dare la pappa pronta al lettore. In fondo al libro infatti ci sono solo due note, a differenza della miriade note presenti ne La terra desolata. Il poeta non vuole semplificare, andare troppo incontro, banalizzare, ma è tutto teso a preservare la pregevelozza letteraria. Oppure Brullo vuole ricorrere a uno stratagemma, vuole stimolare il lettore con un divertissement, vuole divertirsi e far divertire, ovvero io semino e tu cerca per quanto possibile di raccogliere il seminato. Qualcuno potrebbe obiettare: dovrebbe citare le fonti. Però difetterebbe di fantasia: alla fine del libro ci sono diverse pagine bianche che chiunque può arricchire con note e annotazioni. E poi in fondo cosa importa sapere chi sono gli autori citati e le espressioni prese a prestito? In fondo ogni parlante e ogni scrivente ricorre sempre a parole prese a prestito, anche se non sa da chi sono state inventate.
Brullo con la sua complessità sfida il lettore, ma in fondo se un bambino non sa nuotare talvolta i genitori lo buttano nell’acqua alta e nuota. Ebbene il poeta sa che il lettore prima o poi imparerà a galleggiare nella complessità: è solo questione di pratica. Non solo ma se un lettore che sa solo 3000 parole di inglese si mette a leggere un difficile libro di poesia inglese gradualmente capirà il senso dal contesto in cui si trovano certe parole. L’autore ci abitua a fare delle deduzioni logico-verbali. Non è il caso di abbattersi e mollare tutto. Però evitiamo ogni equivoco: quest’opera, esemplare poeticamente, è in definitiva leggibile per tutti, non soltanto per un’eletta schiera di letterati, a cui peraltro il sottoscritto non appartiene. Ma in fondo è più importante cogliere ogni antifona oppure riuscire a intendere la globalità della poesia?
Eppure anche nei brani apparentemente più oscuri si staglia chiaro e cristallino il suo grande talento. Basta annotare su un foglio l’espressione poetica e affidarsi all’intelligenza collettiva del web. Non è lo stesso autore che scrive "siamo semplici senza saperlo"? A ogni modo, Brullo non cita mai a sproposito, e il libro si può anche leggere tutto d’un fiato senza cogliere tutti i nessi letterari, perché le citazioni sono innestate e integrate con sapienza e arguzia nell’ordine del discorso, riuscendo a restituire un dettato organico. In definitiva non importa avere straordinarie percezioni visive né essere critici d’arte per avere una visione d’insieme di una cattedrale, senza perdersi nei dettagli. E se poi queste citazioni fossero come i sassolini nel bosco di Pollicino per ritrovare la strada?
Questa raccolta mi fa venire in mente Nel ventre della balena di George Orwell, ma qui a differenza che tra Orwell e Miller le parti si rovesciano, si invertono: in queste poesie è l’autore ad accusare il lettore di stare nel ventre della balena, ovvero di "compiere l’atto di Giona: farsi inghiottire restando passivo, accettando tutto". Pur avendo personalità e biografia completamente diverse, Brullo mi ricorda a tratti la versatilità pasoliniana, anche se di Pasolini ne nasce uno ogni secolo.
Prendo atto di tutto ciò pur lasciandone in sospeso le implicazioni... Diciamo che per vastità culturale e varietà di interessi Brullo in un certo qual modo me lo ricorda. Anche se per ora Brullo si è dimostrato scomodo letterariamente con le sue stroncature, mentre Pasolini era scomodo politicamente, ma il contesto storico è completamente diverso.
La cosa che mi sembra più importante sottolineare è che Brullo riesce a essere dialogico e obliquo, complesso ma mai incomprensibile; soprattutto riesce a coniugare infrastruttura (inconscio individuale e collettivo), struttura (ragione), sovrastruttura (cultura): potrei addirittura coniare un nuovo termine e affermare che la sua poesia è metarazionale, cioè sa comprendere razionale e irrazionale (considerando che l’assurdo camusiano si affaccia talvolta nelle nostre esistenze, bisogna tuttavia pensare anche al credo quia absurdum, come ricorda nella bella prefazione Giancarlo Pontiggia); ciò sarebbe sensato, visto e considerato che esiste un metalinguaggio, una metafisica e anche una metapoesia.
Come esiste il plusvalore penso che si possa parlare, per Brullo, di "plus-senso" perché le sue sentenze trascendono la logica usuale e il senso comune, senza metterli alla berlina come fa con i suoi pseudoaforismi l’ottima Gilda Policastro. Spesso le sue sentenze vanno oltre la logica perché sono profezie. Pur tra molti riferimenti culturali, Brullo non presta il fianco all’alienazione marxiana né a nessun tipo di scena madre, freudianamente intesa.
È anche per questi motivi che non è datato, non è masscult né midcult. La mitologia è il tramite fondamentale, lo strumento indispensabile per approdare al traguardo. Brullo riesce a essere astratto nel senso migliore del termine. Di certo sa benissimo cosa vuole esprimere, sa benissimo cosa e come scrivere. Purtroppo invece, quando si pensa all’astrazione si pensa all’inconsistenza di tanta arte concettuale, come nel film La grande bellezza, in cui un’artista appunto concettuale fa scena muta di fronte al giornalista. Ecco, Brullo invece pondera e calcola tutto. Se sono finiti gli uomini che sapevano tutto, perché questo mondo odierno è estremamente complesso, posso dire che il poeta sa molto. La sua poesia, in un’epoca in cui tutto è pretenzioso e surrogato della cultura, riesce a essere realmente intellettuale.
Ricorrere alla mitologia tramite le citazioni a mio modesto avviso si può intendere psicologicamente come ricerca di ordine dentro di sé e come modo di distruggere le certezze granitiche del lettore, per aggiungere nuovi tasselli alla conoscenza di entrambi. Però ricorrere alla mitologia significa anche riconnettersi al passato forse per sfuggire alle brutture del presente (comunque lo stesso Brullo a suo tempo affermò che "si scrive per sopprimere il passato", e allora si è contraddetto oppure mi ha contraddetto), forse per senso di appartenenza a una comunità letteraria, forse perché non si sfaldi il terreno sotto i piedi...
Per dirla alla Heidegger questo libro tratta dell’esserci e dell’essere. Inoltre Brullo cita anche il termine "pallaksch" dell’Hölderlin ormai folle. È un termine che può avere più significati o nessuno. Era un suo mantra nella follia. Se chiedete a un esperto della psiche cosa è un delirio ebbene questo vi risponderà che è un’interpretazione totalmente errata della realtà. Per quanto ogni delirio possa essere determinato da uno squilibrio neurochimico (ma lo squilibrio viene considerato come tale dalla comunità scientifica in base a comportamenti ritenuti inappropriati) è anche vero che ogni follia viene costruita socialmente, etichettata e valutata socialmente. Brullo citando Hölderlin vuole chiedersi se la sua creatività è indice di follia? Per quel che mi riguarda la sua ideazione è segno inequivocabile di bravura. Però la strada per un poeta è sempre in salita. Chi scrive viene valutato socialmente se va bene come un tipo strano, soprattutto chi non scrive bestseller: è per questo che Brullo cita Hölderlin? Forse chi non vende centinaia di migliaia di copie è destinato alla follia. Oppure vuole richiamare l’attenzione sul fatto che non si sa più chi è folle e chi no. Oppure bisogna valutare psichiatricamente i mistici e i santi come fa per esempio Andreoli?
Infine, per Brullo, la poesia salva se non è rimasto nulla; è il poeta o la stessa poesia che simboleggia la lince, unica rimasta dopo tutto. Siamo alla fine della storia? Pasolini aveva previsto tutto denunciando la scomparsa delle lucciole? Dio è morto. Per gli strutturalisti anche l’uomo è morto. Il nichilismo ha la meglio. Non c’è via d’uscita oppure c’è sempre una via d’uscita? Arduo dirlo. Per Montale bisognava rinunciare:
"Codesto oggi possiamo dire: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".
L’identità era caratterizzata dalla negazione, e per alcuni da una perdita di una parte di sé. Invece, per uscire da questa situazione di crisi perenne e di stallo, l’uomo contemporaneo dovrebbe sapere esattamente ciò che è e ciò che vuole. Eppure sono pochissimi, i maestri che hanno il magistero morale per indicare la strada. Per Jünger un modo per combattere il Leviatano è proprio l’arte. In questo senso si può ritenere salvifica la poesia, anche se all’opposto, cristianamente, nella letteratura non si può trovare la salvezza. C’è chi sostiene che chi ha la poesia non ha bisogno di alcuna religione. Un tempo per chi aveva la religione la poesia era un corollario. Scusate il gioco di parole, ma nella poesia a conti fatti si può comunque trovare un’ancora di salvezza. "Come un battesimo o un incendio", salva la poesia? Dipende dagli individui, dalle circostanze, dai casi della vita. Così suppongo. Ma quale poesia salverà? Probabilmente la stessa poesia religiosa, perché, come affermò Malraux, il ventunesimo secolo o sarà religioso o non sarà.
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