Il 13 giugno 1888 nasceva a Lisbona Fernando Pessoa, il figlio più devoto della capitale portoghese, che ne sarebbe diventato il cantore più illustre.
La luce di Lisbona diventa epifania nella poesia di Pessoa, come dimostra la bellissima Lisbona rivisitata (1926, meglio nota con il titolo di Lisbon revisited) che contiene anche una summa del pensiero poetico dell’autore del Libro dell’Inquietudine.
Impossibile scindere Fernando Pessoa dalla sua Lisbona; la città non fa semplicemente da sfondo alla vita dell’autore, lo identifica.
Non possiamo immaginare la poesia di Pessoa in un altro luogo che non sia Lisbona: è stato lui a farcene conoscere le sfumature gialle e oro, le vertigini azzurre del cielo, la solarità. Noi occidentali abbiamo scoperto la luce perfetta di Lisbona attraverso i suoi versi, abbiamo imparato a percepirla ancor prima di vederla.
E una volta giunti nella capitale del Portogallo è quindi inevitabile pensare: la città di Pessoa, come se lui fosse stato il suo unico cittadino al mondo, il solo abitante di queste strade, di queste vie.
Fu lo stesso Jorge Luis Borges, del resto, a dire “oggi sei tu poeta del Portogallo” inchiodando il nome di Fernando Pessoa a questa definizione esclusiva. Pessoa era il nuovo Luís de Camões, il maggiore poeta portoghese.
Fernando Pessoa non cantò Lisbona con una sola voce, ma con una pluralità di voci tante quante erano quelle dei suoi eteronimi: Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos. In questa pluralità Lisbona si infrange come uno specchio dai mille volti, diventa trinità, una geografia al contempo reale e metafisica.
La Lisbona rivisitata di Pessoa ricorda Itaca di Costantino Kavafis: una meta leggendaria che si fonde con il mito, un approdo cui non si può tornare davvero eppure rappresenta il senso stesso del vivere. In certi “giorni di luce perfetta ed esatta”, ci insegna Pessoa, le cose hanno tutta la realtà che possono avere. Nelle vie “costantemente visitate da gente”, nelle finestre fatte di nuvole che affacciano sul cielo, Lisbona continua a riflettere - come uno specchio rotto, infranto - l’immagine del suo poeta, restituendoci il vero volto di Pessoa che si smarrisce nella fisionomia dei suoi eteronimi ed è quindi, di conseguenza, impossibile da ricostruire. Nella luce di Lisbona Fernando Pessoa ha “vissuto tutta la vita”, spersonalizzandosi, frammentandosi, smarrendosi in bilico tra realtà e sogno, esplorando tutte le possibilità del Reale.
Il testo di Lisbona rivisitata ce lo dimostra: sembrerebbe essere una poesia dedicata a un luogo, invece diventa una poesia metafisica, poiché narrando la propria città natale, Pessoa ci sta descrivendo la sua anima sfrangiata, fatta di una smisurata, incontenibile, inquietudine. Questa poesia è scritta dietro l’eteronimo di Álvaro de Campos che, non a caso, era un amante della poesia di Walt Whitman e se ne avverte l’influenza in questi versi.
“Lisbona rivisitata” di Fernando Pessoa: testo
Nulla mi lega a nulla.
Voglio cinquanta cose nel medesimo tempo.
Anelo con un’angoscia di fame di carne
quel che non che sia – definitamente per l’indefinito…
Dormo irrequieto, e vivo in un sognare irrequieto
di chi dorme irrequieto, mezzo sognando.
Mi chiusero tutte le porte astratte e necessarie.
Abbassarono cortine su tutte le ipotesi che avrei
potuto vedere nella via.
Non c‘è nella traversa trovata numero di porta che
m’hanno dato.Mi sono svegliato alla stessa vita a cui m’ero
addormentato.
Perfino i miei eserciti sognati hanno patito sconfitta.
Perfino i miei sogni si sono sentiti falsi all’essere sognati.
Perfino la vita soltanto desiderata mi nausea – perfino questa vita…
Comprendo a intervalli sconnessi;
scrivo per lapsus di stanchezza;
e un tedio che è perfino del tedio mi scaraventa sulla spiaggia.
Non so che destino o futuro compete alla mia
angoscia senza timone;
non so che isole del Sud impossibile mi aspettano
naufrago;
o che palmeti di letteratura mi daranno almeno un verso.
No, non so questo, né altra cosa, né cosa alcuna…
E, nel fondo del mio spirito, ove sogno quel che ho sognato,
nei campi ultimi dell’anima, ove ricordo senza motivo
(e il passato è una nebbia naturale di lacrime false),
nelle strade e nei sentieri di foreste lontane
ove ho immaginato il mio essere,
fuggono smantellati, ultimi resti
dell’illusione finale,
i miei eserciti sognati, sconfitti senza essere esistiti,
le mie coorti da esistere, sfracellate in Dio.Un’altra volta ti rivedo,
città della mia infanzia paurosamente perduta…
città triste e lieta, un’altra volta sogno qui…
Io? Ma sono lo stesso che qui è vissuto, e qui è tornato,
e qui è tornato a tornare, e a ritornare.
E qui di nuovo sono tornato a tornare?
O siamo tutti gli Io che sono stato qui o sono stati,
una serie di chicchi-enti legati da un filo-memoria,
una serie di sogni di me, di qualcuno fuori di me?
Un’altra volta ti rivedo,
col cuore più lontano, l’anima meno mia.
Un’altra volta ti rivedo – Lisbona e Tago e tutto – passeggero inutile di te e di me,
straniero qui come in ogni parte,
casuale nella vita come nell’anima,
fantasma errante in sale di ricordi,
al rumore dei topi e delle tavole che scricchiolano
nel castello maledetto di dover vivere…Un’altra volta ti rivedo,
ombra che passa attraverso ombre, e brilla
un momento a una funebre luce sconosciuta,
e penetra nella notte come una scia di nave si perde
nell’acqua che cessa di udirsi…
Un’altra volta ti rivedo,
ma, ahi, me non rivedo!
S‘è rotto lo specchio magico in cui mi rivedevo identico,
e in ogni frammento fatidico vedo solo un pezzo di me – un pezzo di te e di me!…
“Lisbona rivisitata” di Fernando Pessoa: analisi e commento
Lisbona per Pessoa è uno specchio, che tuttavia non riflette la sua immagine vera. Nel nodo che lo stringe alla città natale si rivela anche il dramma identitario del poeta portoghese. “Estrangeiro aqui como em toda a parte”, scrive Pessoa: straniero qui come da ogni altra parte, rivendicando la sua condizione di “non appartenenza” ed è in questa visione che Lisbona si fa labirinto, specchio infranto, castello maledetto, un luogo che non offre riparo né consolazione all’inquietudine del vivere. Lisbon revisited è anche una summa della poetica di Pessoa: in questa lirica rivive il mistero degli eteronimi, la moltitudine da cui il poeta si sentiva abitato, per dirla secondo la celebre sentenza di Walt Whitman: “Contengo moltitudini”.
“Io è un altro”, parafrasando Rimbaud, nella poesia di Pessoa: i suoi eteronimi si fanno simbolo della crisi esistenziale dell’uomo del Novecento, incapace di riconoscersi in un’unica “forma”, riprendendo il concetto pirandelliano di Uno, nessuno e centomila. Ancora oggi Lisbona sembra essere abitata da tutte le vite possibili di Pessoa, una città parallela che si fa sogno di finzione.
Labirintica, amletica, epifanica, Lisbona risponde alla domanda essenziale di ogni vita: “Chi sono io?” che tuttavia in Fernando Pessoa si traduce come: “Quanti io ci sono in me?” .
Il poeta dell’Inquietudine non ci ha mai descritto un luogo reale, ma una versione di sé stesso: anche Lisbona rivisitata, in fondo, è una “città invisibile”, molto diversa dalla città vera.
È un sogno per chi non ha sogni, un inganno consueto che si accampa sul velo di Maya dell’apparenza.
Fernando Pessoa nasceva a Lisbona il 13 giugno 1888, 136 anni fa; Fernando Pessoa non è mai morto poiché ha “sentito in tutte le maniere”, è “vissuto da tutti i lati” e le sue poesie ci parlano ancora.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Lisbona rivisitata”: la poesia di Fernando Pessoa dedicata alla città natale
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