Lo sguardo sulle cose. Due racconti di V.M. Garsin e uno
- Autore: Anton Cechov
- Genere: Raccolte di racconti
- Anno di pubblicazione: 2014
Lo sguardo sulle cose è uno dei libri frutto della coraggiosa politica editoriale di ricerca di testi di autori emergenti e di opere di autori classici poco conosciuti, sui quali punta la Corrimano Edizioni, una nuova casa editrice che ha esordito pubblicamente lo scorso giugno al Festival dell’Editoria indipendente di Palermo. I direttori editoriali sono giovani professionisti che provengono dal mondo culturale e intellettuale siciliano. Un augurio di cuore al loro progetto editoriale con il quale mirano a nuove ed ampie produzioni letterarie.
Lo sguardo sulle cose è un’antologia di due racconti dello scrittore russo Vsevolod Michajlovic Garsin, morto a soli trentatré anni, non molto noto in Italia ma amato e considerato un genio dagli scrittori del suo tempo, quali Tolstoj e Turgenev; è dello scrittore Anton Cechov il terzo racconto, che trae ispirazione proprio dalla storia umana e personale di Garsin.
Apre l’antologia il racconto Dai ricordi del soldato Ivanov, la vicenda autobiografica nella quale lo scrittore Garsin narra la sua decisione di arruolarsi volontariamente, pur essendo contrario alla guerra, e la sua drammatica esperienza al fronte. Era il 1877 e la guerra russo-turca aveva lo scopo di ottenere, con il dominio su Costantinopoli, uno sbocco sul Mediterraneo. Il giovane studente Ivanov, l’io narrante, descriverà il calvario dei soldati, la maggior parte contadini russi con le loro facce larghe e la pelle scurita dal freddo, e la lunga marcia dal Danubio ai Balcani patendo la fame, il freddo e subendo ogni genere di maltrattamenti da parte dei superiori del reggimento. Ogni soldato aveva addosso un carico di trenta libbre, zaino sulla schiena, marsupio pesante sul davanti e l’arma in spalla; marciava spesso sotto la pioggia con i piedi che scivolavano nel fango limaccioso o nell’aria immobile per il gran caldo. Molti di loro cadevano nel fango o morivano per il caldo ed era necessario ottenere la loro cieca ubbidienza con atti di violenza pur di mantenere la disciplina tra le file.
“Ci trascinava una forza invisibile e senza nome, la vita umana non conosce forza più potente. Ciascuno di noi avrebbe preferito andare a casa, ma la massa proseguiva, obbedendo non a un ideale di disciplina, non alla consapevolezza di una causa giusta, non a un sentimento di odio per un nemico sconosciuto, ma a quella forza invisibile e istintiva che ancora a lungo condurrà l’umanità verso la guerra, ragione prima di ogni tragedia, di ogni dolore umano.“
In una situazione sociale dell’epoca nella quale la classe degli ultimi, quella dei contadini, formava e costituiva l’esercito dello Zar, il giovane Garsin decise di arruolarsi ritenendo immorale restare a casa mentre il popolo, la plebe, andava a combattere e a morire. Le campagne russe venivano abbandonate per le penose condizioni di vita e la realtà delle differenze di classi alimentava i primi movimenti di opposizione allo Zar. Garsin visse in prima persona il dramma di una guerra di conquista in anni particolarmente difficili, carichi di contraddizioni e problematiche sociali che porteranno, all’inizio del Novecento, alla Rivoluzione d’ottobre.
Il secondo racconto dal titolo Il fiore rosso narra di un malato ricoverato in un manicomio ove venivano internati i reduci di guerra e della sua ossessione del male, un problema che nella sua mente diverrà una questione di vita o di morte. Si sentirà al centro di un progetto gigantesco, l’unico uomo al mondo che avrebbe da solo distrutto il male sulla terra.
“Non sapeva in cosa consistesse, ma sentiva di possedere dentro di sé le forze sufficienti per portarlo a compimento.“
Vide il male nascosto in alcuni fiori dal color rosso acceso, tre papaveri, che spuntavano oltre la siepe nel giardino dell’istituto. L’uomo era un combattente, il primo combattente dell’umanità e nello strapparli avrebbe sconfitto il male. Il fiore rosso venne pubblicato nel 1883, anno in cui Garsin sposò una giovane psichiatra che lo aiutò nella cura del suo esaurimento nervoso. II matrimonio sembrava felice ma la malattia continuava a devastarlo con crisi depressive acute fino al giorno del suo suicidio. Entrambi i racconti richiamano alla vita breve e dolorosa dello scrittore, da molti paragonato al grande Dostoevskij, ai suoi tormenti, alle sue profonde e lucide riflessioni sulla guerra e alle drammatiche conseguenze che genera nell’animo umano.
Una crisi nervosa è l’ultimo breve racconto, quello di Cechov, considerato il nuovo Garsin, nel quale è narrata una notte d’inverno in cui tre giovani studenti cercano compagnia femminile e si recano nel vicolo a luci rosse della città. Uno di loro però non gradisce e si chiede del perché una giovane fanciulla si sia data alla perdizione offrendosi, inconsapevolmente alla morte. Il dilemma lo coinvolgerà a tal punto da divenire per lui un’ossessione.
“La prostituzione è in effetti un male e quindi questi miei cari amici sono altrettanto schiavisti, violenti e assassini quanto certi abitanti della Siria e del Cairo … ora cantano, se la ridono, filosofeggiano, ma non hanno appena approfittato della fame, dell’ignoranza e della stupidità altrui? A che serve la loro cultura?“
Una lettura che sorprende e stupisce per la complessità e la ricchezza di significati, ancora attuale nei suoi potenti interrogativi sulla vita e sulla morte. L’immagine degli umili della terra, senza diritti per le differenze di classe, e delle frustate impresse dal capitano Vencel sui loro corpi magri e sfiniti dalla fatica riportano alla mente l’immagine di oggi di uomini inermi, anch’essi ultimi della terra, in fuga dalle guerre e dalla miseria che vengono scudisciati in nome dei soldi sulle coste oltre il nostro mare.
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