Lo spazio dei sogni
- Autore: David Lynch
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2018
Si tratta di un visionario autentico oppure gioca a fare l’artista indecifrabile? La domanda è legittima: Lynch colpisce la sensibilità in un modo unico, e lo scetticismo risponde con una reazione allergica.
Oggi, con una produzione di dieci lungometraggi (di cui sei candidati all’Oscar), sei prodotti per la televisione e un numero pressoché incalcolabile di esperimenti visuali tra cortometraggi, mostre fotografiche e pittoriche, allestimenti e regie teatrali, David Lynch è una cifra imprescindibile per chi si accosta alla narrazione per immagini, è, come pochi altri, un autore che ha definito un metro.
“Lynchiano” è il termine che, dai mormorii nei cinema d’essai di Los Angeles dove veniva proiettato a mezzanotte l’allucinante Eraserhead, si è diffuso attraverso un passaparola fino a trovare la sua dignità nelle colonne di critica cinematografica degli ultimi trent’anni.
Lo spazio dei sogni (Mondadori, 2018, trad. L. Fusari e S. Prencipe) è la porta di servizio che conduce nel capanno degli attrezzi di quest’uomo del Midwest, che non ha mai smesso di lavorare con un martello, qualche asse di legno e spanne di cavo elettrico. Il libro attraversa i settant’anni di vita e di esplosiva immaginazione di David Lynch, e la sua struttura è semplice e vincente: in un capitolo la giornalista Kristine McKenna intervista amici, parenti e collaboratori dell’artista per delineare una porzione della sua vita, e nel successivo lascia che a parlare dei medesimi episodi sia proprio Lynch, non ponendo freni alle sue divagazioni, alla sua capacità inquietante di fissarsi su dettagli grossi come una cellula e di trascurare eventi colossali.
Quindi ecco l’uomo: affascinato sin dall’infanzia dai boschi, che attraversava seguendo il padre, curatore forestale, incoraggiato insieme ai fratelli a mettere mani su ogni attrezzo per dare forma alle idee, invaghito in senso quasi edipico degli anni ’50, età dell’oro sulla quale incombeva un’indecifrabile ombra; già dagli anni del college sente che l’arte, che in quel momento per lui prende la sembianza della pittura, è ispirazione, visione scollegata dal quotidiano, ma che richiede metodo, tecnica ma soprattutto un abbandono totale.
David Lynch è amato da tutti quelli che lo hanno incontrato, che hanno avuto l’occasione di sedersi al tavolo di un diner per bere un caffè con lui o che hanno collaborato su un set da lui diretto: dalle pagine, da ogni intervista, trabocca la luce di un uomo innamorato ed entusiasta di ogni particella del proprio lavoro, della vita, delle opportunità avute e del grande circo dell’umanità.
Sopra ciascuna esperienza artistica, il filo che tiene insieme tutte le perle prodotte dal suo ingegno e che le rende una collana unica, resta il rapporto con la meditazione trascendentale, di cui oggi Lynch è portavoce a livello mondiale, insegnante e curatore di seminari, conosciuta attraverso il guru Maharishi. Nelle parole del regista sembra che in questa pratica costante ci sia il segreto della sua incapacità di prendere la vita per il verso sbagliato, la chiave interpretativa delle sue opere (che, nell’opinione di Lynch e di chi ha lavorato per lui, non vanno decifrate, ma solo vissute) e la fonte della sua inesauribile energia.
Sulla scorta di un’intuizione, più spesso di un sogno, il regista racconta di aver progettato e realizzato con le sue mani i dettagli di tutte le sue opere: il rossetto di Laura Dern su INLAND EMPIRE, il pettirosso imbalsamato e mosso con un pezzo di fil di ferro nell’ultima scena di Velluto blu, ma anche abiti, oggetti di scena e macchinari.
Lo spazio dei sogni è il libro indispensabile per chi ama i suoi film, tanto oscuri quanto rivelatori, per chi si è smarrito nei boschi di Twin Peaks o nei corridoi della casa di Fred Madison su Strade perdute. È tuttavia un libro consigliatissimo anche a chi ha sempre avuto difficoltà ad apprezzare la narrativa lynchiana, a chi ha preferito accontentarsi per molto tempo di liquidare la sua produzione dietro l’etichetta di deliri autocompiaciuti.
È un pezzo, pulsante e pieno di carne, della vita di un uomo che non ha mai smesso di pranzare con un panino col pomodoro, bere una quantità smodata di caffè e guardare al cielo con l’attenzione di un bambino.
Lo spazio dei sogni
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